Vertici internazionali, riti antichi a disegnare Stati e alleanze evanescenti, come sul clima oggi

Vertici internazionali di vario formato e spesso di discutibile sostanza, pensate solo alla stretta attualità di G7, G8, G20, COP26 e via siglando. Un tempo, quando era meno veloce e facile viaggiare anche per la diplomazia che seguiva sempre alle guerre e dopo gli eserciti, si chiamano ‘Congressi’. Giovanni Punzo ce ne ricorda alcuni ad alleviare l’amaro in bocca dei vertici numerati dell’oggi.

Congresso di Vienna 1815

Quando il ‘Congresso’ si divertiva

Più di due secoli fa, per rimettere ordine in Europa dopo un ventennio di guerre originate dalla Rivoluzione francese e dalla politica napoleonica, a Vienna – quasi per la prima volta nella storia delle relazioni tra i diversi paesi – si riunì un ampio consesso di capi di stato e di governo, ministri degli esteri e diplomatici per stabilire i nuovi equilibri internazionali. Un piccolo precedente in effetti si era già verificato a metà del XVII secolo quando – per sancire altri equilibri europei dopo la guerra dei Trent’anni – tra le città di Münster e Osnabrück si erano riuniti i diplomatici delle maggiori potenze europee per sottoscrivere il trattato di Vestfalia e porre fine alle guerre di religione: si trattava però in complesso di pochissime persone, seguite al massimo da un fidato segretario.
A Vienna invece la partecipazione fu assai più numerosa e soprattutto furono presenti tra gli altri dei sovrani come lo zar di Russia e il re di Francia. Il congresso fu insomma il primo evento moderno ‘multiraterale’, non limitato quindi alle sole relazioni bilaterali tra stato e stato ed esteso bonariamente anche a piccoli paesi, sempre ‘scelti’ ed ammessi però dalle potenze. I lavori si protrassero per mesi e fu anche – dal punto di vista della mondanità – un evento epocale: nacque infatti l’immagine della diplomazia a tutto tondo, che non si svolgeva solo ed esclusivamente ai tavoli delle riunioni ufficiali (che in verità non sempre furono aperte a tutti), ma anche tra feste sontuose e balli sfavillanti. «Il congresso balla, ma non avanza», disse ad un certo punto piuttosto seccato un principe tedesco.

Un secolo di luci fino alla Grande guerra

Questa immagine popolare delle relazioni internazionali durò un secolo, cioè fino allo scoppio della Grande guerra, e fu quella dei palazzi illuminati con migliaia e migliaia di candele dove amabilmente e con ‘buone maniere’ si decidevano i destini dei paesi europei e non solo, soprattutto non senza le giuste dosi di cinismo. Un mondo favoloso e irraggiungibile per la stragrande maggioranza dei mortali, come pensava del resto anche Emma Bovary, protagonista del romanzo di Gustave Flaubert che fu pubblicato proprio a metà del secolo XIX. Luci e colori insomma rimasero ed anzi raggiunsero il massimo dello splendore tra la fine del secolo e i primi anni del XX: lo scoppio della Grande guerra – nelle parole del diplomatico inglese Edward Grey – fu paragonato infatti alla luce dei lampioni che si spegneva.
Il brusco risveglio fu sancito anche dall’evento conclusivo della guerra: a Versailles, esattamente cinque anni dopo i colpi di pistola di Sarajevo (28 giugno 1919), si concluse la conferenza che avrebbe dovuto sancire i nuovi equilibri europei. Questa volta – a confronto del congresso di Vienna – la partecipazione fu quasi ‘di massa’: non intervennero infatti singoli rappresentanti, ma vere e proprie delegazioni nazionali composte da giuristi, economisti e vari consiglieri delle più disparate materie che presentarono ricerche e studi approfonditi a sostegno delle loro proposte. Il clima dei lavori fu però ben diverso di quello di un secolo prima, a cominciare da una certa austerità post-bellica, e gli sconfitti furono trattati assai più duramente della Francia post-napoleonica. Il risultato fu che nella Germania battuta e umiliata cominciarono a covare sentimenti di rivalsa e vendetta che sarebbero esplosi con il nazismo e la guerra che cominciò nel 1939, cioè vent’anni dopo.

Società delle nazioni, 1920, Ginevra

Diplomazia pubblica e organizzazioni internazionali

A Versailles il presidente americano Wilson fondò la sua azione su due principi: la fine della ‘diplomazia segreta’ (costituita cioè da accordi riservati tra stati) e la creazione di un’organizzazione internazione permanente per discutere le diverse questioni e soprattutto evitare nuovi conflitti. Fu creata allora la Società delle Nazioni la cui sede, prima contesa tra Parigi e Londra, fu collocata infine nel 1920 a Ginevra, nella neutrale Svizzera. La Società ebbe vita travagliata – ad esempio gli stessi Stati Uniti che pure l’avevano caldeggiata si ritirano praticamente subito – e i progetti rimasti incompiuti superarono i pochi successi ottenuti.
Per la prima volta però si trattò di un’organizzazione permanente che fu attiva in diversi settori quali ad esempio il disarmo (o meglio un tentativo di frenare la corsa agli armamenti), la lotta alle malattie soprattutto epidemiche per la quale fu costituito un comitato per la salute, l’organizzazione internazionale del lavoro, la commissione per i rifugiati (già la Prima Guerra mondiale aveva costretto a esodi forzati milioni di europei), la commissione contro la diffusione del commercio dell’oppio, una commissione per la lotta alla schiavitù e una per i diritti femminili, primo dei quali il diritto di voto, non ancora riconosciuto in tutti gli stati europei (Italia compresa).
Un segno non trascurabile del clima nuovo e della fine definitiva dei rituali mondani fu anche la costruzione di una sede unica, monumentale finché si vuole, ma razionale anche nell’arredamento e che segnò l’abbandono dei sontuosi palazzi storici. La Società si estinse di fatto nel 1946, ma nacquero in contemporanea le Nazioni Unite e le altre organizzazioni internazionali in cui si dibattono i grandi temi contemporanei, faticosamente e senza luci fastose.

Condividi:
Altri Articoli
Remocontro