
La Russia ha svolto in quel periodo una esercitazione militare e navale in Crimea in casa propria. Per Mosca la Crimea, storicamente russa, è stata annessa con un referendum nel 2014 ed è considerata parte della madre patria, mentre Ucraina, UE e USA insistono sull’accusa di occupazione illegale. Ma le secessioni territoriali variano a seconda dei contenti in campo, segnala qualcuno ricordando il Kosovo Jugoslavo.
Sempre in quel primo 2021 si è tornati anche a leggere il nome Donbass, regione nel sud est dell’Ucraina governata da due autoproclamate repubbliche filo russe, Donetsk e Lugansk, sempre dal 2014, l’anno dell’Euromaidan che portò al potere a Kiev un governo filo occidentale. La gravità della crisi odierna sarebbe paragonabile a quella dello scontro aperto proprio in Donbass del 2014-2015.
In realtà il conflitto in Ucraina non è mai realmente finito. Dal 2015 dovrebbero valere gli accordi di Minsk2, con una lunga zona di de-escalation tra Kiev e le due repubbliche separatiste, tregua vigilata dall’Osce. Nessun avanzamento di truppe o armamenti pesanti, le regole sistematicamente violate dalle due parti e la zona cuscinetto che corre praticamente a ridosso della maggiore città del Donbass, Donetsk, sovente bersaglio con morti civili.
L’elezione del nuovo presidente Zelenskyj, ex attore comico, prometteva il raggiungimento di una pace onorevole e di una riconciliazione con la parte del Paese di lingua e cultura russa. Zelenskyj aveva sconfitto il predecessore Poroshenko, campione del nazionalismo ucraino alleato con settori dell’estrema destra, e fra settembre e dicembre 2019 alcuni grandi scambi di prigionieri, avevano fatto sperare nella fine delle ostilità.
Ma alla fine del 2020 è sceso in campo un nuovo fattore probabilmente decisivo: cambiava inquilino anche la Casa Bianca e Joe Biden, antico frequentatore ucraino, diventava il nuovo presidente USA
Per la politica estera, Biden si è concentrato in quello che ha definito ‘il recupero del ruolo degli USA nel mondo’, la ricostruzione della credibilità persa durante il mandato di Trump. E una parte importante della discontinuità voluta da Biden ha riguardato i rapporti con la Russia. I democratici americani ed il loro candidato presidente sempre convinti delle interferenze russe per influenzare i risultati delle elezioni presidenziali americane del 2016 a vantaggio di Trump.
La tentata impeacement dell’allora presidente nel 2019: Trump che ricatta Zelenskyj sugli aiuti militari approvati dal Congresso, chiedendo alla parte ucraina di svolgere indagini da rendere pubbliche sul figlio di Joe Biden, Hunter, uomo d’affari con numerosi interessi all’estero. Scopo evidente di screditare il probabile avversario nella corsa alla rielezione di Trump. Una complicità russa contro Biden. Così sembra leggerla il neo presidente Usa.
A metà marzo, Biden presidente, definisce Putin “un killer”, con toni che non si ascoltavano dai tempi della Guerra Fredda. Ad aprile Biden ha annunciato nuove e pesanti sanzioni economiche contro la Russia, e ha espulso da Washington 10 diplomatici russi accusati di ingerenze. È in questo contesto che ricominciano le ostilità sulla linea del fronte in Donbass, con battaglioni ucraini inviati in zona e colpi di artiglieria a colpire città come Donetsk o Gorlowka, come nel 2014.
La risposta russa, con l’espulsione di altrettanti diplomatici statunitensi e le esercitazioni militari come risposta a quella che al Cremlino percepiscono come un’aggressione ai confini nazionali. L’11 aprile scorso il Segretario di Stato Blinken, origini ucraine di famiglia, prometteva minaccioso “ci saranno conseguenze” se la Russia non ritirerà i contingenti sui suoi confini.
In un documento sulle strategie di politica estera Usa, la Russia viene definita senza mezzi termini “stato autoritario”, ma assieme si afferma anche che con Russia e Cina, l’altro grande rivale, è necessario giungere ad un “dialogo significativo mirante alla stabilità strategica”. Ed ecco che gli USA hanno esteso l’accordo Start sul contenimento degli armamenti nucleari, trovando rapido assenso da parte di Mosca. Ma il Donbass è un’altra cosa.
Il Donbass è abitato da centinaia di migliaia di persone che parlano e si sentono russe e a cui Mosca ha concesso la cittadinanza. Negli USA sanno bene che una riconquista armata della regione da parte ucraina è una delle “linee rosse” di cui parla il governo russo. Qualsiasi azione in Crimea sarebbe considerata un atto di guerra contro il territorio russo. Biden ha deciso il ritiro dall’Afghanistan (discusso nel modi), e qualsiasi azzardo ucraino dagli esiti peraltro imprevedibili diventa impossibile.
«Nelle ultime ore sono arrivate offerte americane per un vertice con Putin nei prossimi mesi e sembra scongiurato l’invio di navi militari nel Mar Nero. Inoltre la Russia ha annunciato, per bocca del ministro della difesa Shoigu, la fine delle esercitazioni militari al confine ed un parziale ritiro delle truppe a partire dal prossimo maggio (lasciando al suo posto però l’artiglieria pesante)».
Il problema è che l’Ucraina è un Paese in grave difficoltà almeno dal 2014, squassato dalla crisi economica e dall’epidemia del Covid, attraversato da pulsioni nazionaliste e con forze di estrema destra spesso apertamente fasciste che conservano un peso rilevante. Persino il Parlamento europeo, riconosce una corruzione endemica con pesanti ripercussioni sul sistema giudiziario, e una risposta del tutto insufficiente alla pandemia, e gravi ritardi su diritti civili, ambiente, libertà di stampa e di parola.
Ciò contribuisce, nonostante i tentativi di distensione degli ultimissimi giorni, a fare di un fronte a pochi passi da casa nostra una vera polveriera, in cui scoppi anche accidentali non sono purtroppo da escludere a priori