L’India a carbone: «emissioni zero nel 2070» è la minaccia

Alla “COP26” di Glasgow tanti sogni e qualche brutta verità svelata. Il “vorrei ma non posso” dell’India dell’iper conservatore Narendra Modi: «emissioni zero” di CO2? Ci potremo arrivare solamente nel 2070». E più che un impegno sembra una minaccia.
Piero Orteca nel cuore dei problemi energetici e sociali del gigante asiatico concorrente della Cina

Gli ‘untori’ planetari contro il clima

La Cina, il secondo “untore” planetario di CO2, dopo gli Stati Uniti, è una “cattiva maestra” per molti Paesi. Per anni ha finanziato la costruzione di centrali a carbone all’estero, come modello di penetrazione, prima economica e poi politica. Un pessimo esempio, quello della “carbon trail”, raccolto da coloro che, una volta, erano i “newly developing countries”, cioè i Paesi di nuova industrializzazione. Ma che oggi galoppano, sulla strada dello sviluppo sociale ed economico, bevendo quantità enormi di energia. Naturalmente fossile. Come l’India, per capirci.

India a inseguire Usa e Cina verso il peggio

Secondo il Ministro per l’Ambiente cinese, Li Gao, la limitazione delle emissioni di CO2 può coesistere con lo sviluppo industriale, “ma solo se bilanciata con altre priorità, quali crescita economica e alleggerimento della povertà”. Una filosofia “cerchiobottista” che sembra calzare a pennello proprio per l’India di Narendra Modi, la quale produce il 70% della sua elettricità con il carbone. E che anche per questo è al terzo posto, al mondo, per le emissioni di CO2, il più pestifero dei gas-serra, assieme al metano e all’ozono. Dietro le quinte, i suoi governanti si difendono dicendo: “Perché dovremmo limitare il consumo del carbone, quando l’Occidente, per secoli, ha sostenuto il suo sviluppo inquinando il pianeta?”

Più che un impegno una minaccia

Questa argomentazione è talmente radicata nell’establishment indiano che, a Glasgow, alla “COP26”, l’ha ripetuta sia pure indirettamente, lo stesso Modi. Il Premier ha detto che l’India punta senz’altro a raggiungere le “emissioni zero” di CO2. Ma a partire dal 2070. Una dichiarazione che, francamente, più che un impegno sembra una minaccia. Anche perché, se tutti la pensassero come l’India, per quella data non ci sarebbe più nessuna “emissione”, ma saremmo solo agli ultimi rantoli di un pianeta ormai ridotto a un tizzone.

Più benzina e gasolio per tutti

Narendra Modi e il suo partito (BJP, Bharatiya Janata Party), però, sono obbligati a fare i conti con una popolazione di un miliardo e 300 milioni di abitanti dagli umori mutevoli, in un Paese dove non ci vuole assai per finire dal Palazzo del governo alle strade di Delhi, con la folla alle calcagna. Si spiega così la preoccupazione avuta da Modi e dal BJP di tagliare, precipitosamente, le tasse sulla benzina, il cui prezzo stava arrivando alle stelle (l’India importa l’85% del petrolio che consuma). Per ogni litro si pagherà da 5 a 7 rupie in meno. Addirittura 10 per il carburante diesel. Il Governo afferma che la scelta è stata fatta “per fare aumentare i consumi, tenere bassa l’inflazione e aiutare le classi povere e quelle medie”.

Emissioni cosa?

Ovviamente, nemmeno una parola sul prevedibile incremento delle emissioni inquinanti. A beneficiare del taglio, dovrebbero essere non solo i produttori di beni e servizi, ma anche l coltivatori che fanno uso di macchine agricole.

L’India a carbone

Ma il vero problema dell’India è il carbone. Su 135 centrali elettriche alimentate con questo combustibile fossile, più della metà funziona con alte emissioni fumogene. Dipende dal ciclo di approvvigionamento a singhiozzo, dato che il carbone non basta. L’incertezza, quindi, si trasferisce sulla capacità delle infrastrutture energetiche del Paese, di sostenere la ripresa post-pandemia. La Coal belt indiana si estende a est del subcontinente e comprende, principalmente, gli Stati di Jharkhand, Chhattisgarh e Odisha. Almeno 4 milioni di persone lavorano direttamente o indirettamente nell’industria del carbone. Negli ultimi 10 anni il consumo di questo combustibile fossile in India è raddoppiato. Il Paese ne importa di conseguenza e sfrutta, a pieno regime, le centrali in attività.

Indian Council on Energy

Tuttavia, il governo punta anche sulle rinnovabili, che attualmente contribuiscono per il 25% alla produzione di elettricità. L’ambizioso piano delle autorità di Delhi vuole portare questa percentuale al 40% entro il 2030. I costi di importazione dei materiali da utilizzare, però, frenano i progetti. Anche se qualche passo in avanti si è fatto. Arunaba Ghosh (Indian Council on Energy, Environment and Water) cita il caso della metropolitana della capitale, che per il 60% funziona grazie all’energia solare. Il problema vero, però, è che, secondo la International Energy Agency, con una popolazione fin troppo vasta, l’India nei prossimi vent’anni avrà un fabbisogno esponenziale di elettricità.

Troppe esigenze e consumi

La transizione verso le “rinnovabili”, calcolando le spese di impianto e di rifacimento della rete di trasmissione, costerà somme enormi. Anche tenendo presente che, attualmente, decine di milioni di indiani non hanno accesso alla fornitura. E che quindi bisognerà realizzare, ex-novo, migliaia di chilometri di linee di distribuzione. Insomma, sognare un futuro più pulito è bello, dicono centinaia di milioni di indiani.

Ma per ora, purtroppo, bisogna svegliarsi e provvedere, mattina per mattina, alle necessità più urgenti. Quelle che ti fanno sopravvivere e che ti aiutano a sperare che, un giorno. potrai lasciare ai tuoi figli un pianeta più degno di essere abitato.

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