
«Usate qualsiasi tipo di arma per bloccare la spinta distruttiva, per capovolgerla e seppellirla», ha esagerato il premier, con tono da guerra civile a fomentare odi tribali.
Nessuna minaccia su Adiss Abeba, la capitale, da parte Tigray, ma solo rompere l’assedio che stava strangolando e affamando la loro terra, replicano le forze ribelli. Il conflitto, esploso nel settembre 2020 sulla scia della pandemia ma legato alle restrizioni del governo centrale contro la aspirazioni di autonomia del popolo del Tigray, ha assunto ormai le dimensioni di una guerra.
Le Nazioni Unite stimano che dal novembre 2020 a oggi i combattimenti abbiano causato oltre 2,7 milioni di sfollati interni e migliaia di profughi. A giugno scorso, le organizzazioni umanitarie stimavano che almeno 400.000 persone rischiano di morire di fame in quella che si appresta a diventare la terza peggior carestia della storia dell’Etiopia e una delle peggiori in Africa dal secondo dopoguerra.
Nei mesi scorsi, le Nazioni Unite hanno puntato il dito contro il governo etiope, responsabile di bloccare cibo, aiuti e medicine destinati alla popolazione del Tigray. In un’indagine condotta dall’Ufficio per i diritti umani delle Nazioni Unite e dalla Commissione etiope, si accusa il governo centrale di aver volontariamente ostacolato le comunicazioni ed espulso giornalisti e operatori dell’informazione per coprire abusi e crimini di guerra commessi nel Tigray.
Nel paese si moltiplicano le voci di una prossima offensiva sulla capitale. Ieri, come riporta la stampa locale, le forze di sicurezza hanno arrestato numerose persone di etnia tigrina mentre il primo ministro Abiy ha accusato “combattenti stranieri” non meglio identificati di sostenere il Tplf. Intanto, continuano i bombardamenti su Makallé (il capoluogo tigrino) e altri centri del nord. Le forze governative hanno il controllo dei cieli.
l’esercito eritreo sarebbe supportato anche da droni forniti dagli Emirati Arabi Uniti e governati da basi nella vicina Eritrea.
Ad appena un mese dal giuramento di Abyi Ahmed, per un secondo mandato alla guida autoritaria del paese, la situazione del governo del discusso Nobel per la pace appare confuso, mentre il conflitto minaccia di destabilizzare la seconda nazione più popolosa dell’Africa, un tempo considerata dall’Occidente un alleato stabile in una regione storicamente instabile.
Secondo valutazioni degli esperti, sembra improbabile che i combattimenti possano lasciare il campo ad una soluzione negoziale. Secondo Uoldelul Chelati Dirar, Professore Associato di Storia e Istituzioni dell’Africa all’Università di Macerata:
(31 Stati e 289 tra milizie, gruppi terroristi-separatisti-anarchici coinvolti)
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