La guerra persa che il mondo cerca di dimenticare in fretta. O di nasconderla
La guerra persa che il mondo cerca di dimenticare in fretta. O di nasconderla

Dopo il G20 ad hoc di due settimane fa Kabul resta fuori dai temi del vertice di Roma. «Si dovrà attendere la Conferenza stampa di oggi, alla fine della due giorni romana, per rivedere o risentire la parola Afghanistan risuonare nel comunicato congiunto finale o nella sintesi che ne farà Mario Draghi», prevede il pessimista Emanuele Giordana.

Le urgenze a scelta

Effettivamente, fra i temi del summit ci sono molte urgenze a cominciare dal clima, riconosce il manifesto,  e, in fondo, «al Paese dell’Hindukush non si è forse già regalato un G20 ad hoc due settimane fa?». Buone intenzioni ma con risultati scarsi, ribadisce Giordana: «dal balletto dei soldi, dal tratto o non tratto coi Talebani, dell’accolgo ed evacuo ma respingo», che ha attraversato la discordie europee da agosto ad oggi.  

La fuga dai cattivi e i muri

Un esodo invocato per far scappare i buoni afghani che collaboravano con l’occidente occupante, dai cattivi talebani che oggi comandano. Con la realtà di muri eretti per frenare proprio quell’esodo invocato a parole e impedito nei fatti. «In fondo, abbiamo già dato», sottintendono in molti. E a due mesi e mezzo dalla caduta di Kabul manca ancora la firma ufficiale, almeno per l’Italia, sul protocollo che dovrebbe far partire gli attesi corridoi umanitari per almeno 1200 afgani. Con l’Onu che ne chiede 5 volte tanti.

Vergogna da nascondere

«Nonostante l’ennesimo allarme Onu su una catastrofe imminente, il mondo sembra voler dimenticare rapidamente quella parentesi durata vent’anni e costata – solo a noi – circa 9miliardi per il 95% finiti in spese militari».

Europa e Stati uniti, gli attori della ventennale avventura, si muovono in ordine sparso. Gli Usa continuano a promettere soldi e sono forse l’unico Paese ad aver ammesso la sconfitta, pur in un poco esaltante esercizio  di scaricabarile: «Da presidente a presidente, dalla Difesa all’Intelligence, dal capo negoziatore Khalilzad all’ex presidente Ashraf Ghani, reo di aver fatto saltare il banco rimanendo abbarbicato alla poltrona lasciata solo per un aereo con destinazione Golfo».

L’obolo di Blinken

Venerdì il segretario di Stato Antony Blixen ha annunciato 144 milioni di dollari in aiuti alla popolazione afghana. Ottimo, ma a parole. «La dichiarazione farebbe colpo se non si trattasse sempre degli stessi fondi (35 milioni promessi all’Onu, portati a 100 nel G20 Afghanistan e adesso saliti a 144), che al momento sono in gran parte solo sul tavolo delle promesse perché sono pochi i quattrini stanziati e davvero partiti per il Paese». Mentre restano congelati i fondi dell’ormai ex Repubblica depositati nelle banca statunitensi ed occidentali, che continuano a restare materia di scambio coi Talebani.

Trattative segrete e caotiche

Sulla trattativa ognuno va per suo conto, racconta chi sa. A Doha, in Qatar,  dove c’è la prima ambasciata aperta dai Talebani. «Anche a Kabul dove i britannici si sono recati quasi subito. Anche i tedeschi si sono mossi e le informazioni dal campo dicono di un’organizzazione teutonica che sta consentendo a chi vuole di lasciare il Paese, con un accordo coi Talebani e a spese di Berlino». «Un ‘ognuno per sé’ –denuncia ancora Giordana- molto lontano da quel multilateralismo invocato da Draghi e che invece caratterizzava un’occupazione militare in cui tutti rispondevano ‘signorsì’ a ogni iniziativa promossa dal dominus americano».

Meglio Mosca e Teheran

Ma qualcuno si è mosso più compatto. I russi con un’iniziativa a Mosca, ospiti Talebani, e Teheran che due giorni fa ha concluso la sua conferenza sull’Afghanistan. I Paesi della regione – e i due grandi protagonisti internazionali cinesi e russi – fanno la loro parte. Con meno diktat di noi ex occupanti e inviti (a creare un governo più inclusivo ad esempio). «Con prudenza, ma riconoscendo pragmaticamente la realtà. Il prossimo summit di questo nuovo polo regionale sarà in Cina. Tutti tavoli da cui siamo esclusi così come, per altro, erano stati esclusi dal G20 Afghanistan, Pakistan e Iran».

Nessuna vera politica sull’Afghanistan

Manca una vera politica sull’Afghanistan, con la sola  preoccupazione di un’ondata di profughi che ancora una volta si cerca di scaricare –a pagamento- sulla Turchia, e la paura sullo Stato islamico, minaccia sentita  in tutto il centrasia. «Ma cosa intendiamo davvero fare con e per quel Paese è una nebulosa. Anzi una nuvola. Dopo aver perso la guerra, per tornare in Italia, sarebbe stato interessante almeno un dibattito parlamentare pubblico: sulla sconfitta, sulla scelta iniziale, sul futuro, sulle responsabilità».

È vero che il silenzio è d’oro ma è volte è solo il segno di un imbarazzo che fa nascondere la testa sotto la sabbia. L’unica cosa che non manca nei deserti afghani.

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