
Innanzitutto, ben quattro agenzie, incaricate di monitorare la situazione sul campo, avevano pronosticato una sicura avanzata militare dei talebani. Anche se differivano le valutazioni sui tempi che i “pashtun” avrebbero impiegato per prendere il potere. Tutte, comunque, concordavano sull’incapacità dell’esercito governativo di resistere all’offensiva delle milizie islamiche. Una cosa però è sicura: nessuno pensava, nemmeno lontanamente, che Kabul potesse cadere in un paio di giorni.
Per dare un’idea degli errori di valutazione fatti, ad esempio, dalla CIA, il Wall Street Journal cita un rapporto del 17 maggio scorso, nel quale si avvisava la Casa Bianca che il governo del Presidente Ashraf Ghani sarebbe stato in grado di resistere fino alla fine dell’anno. A distanza di poco tempo, però, l’agenzia diffondeva un altro report, che in qualche modo smentiva il primo, nel quale si sosteneva, letteralmente, che: “In Afghanistan, occorre valutare le prospettive di una completa acquisizione talebana entro due anni”.
Dal canto suo, la DIA (Defense Intelligence Agency) dopo una prima analisi del 4 giugno, nella quale rilevava “la concentrazione degli assalti talebani nelle aree rurali”, dichiarava il 7 luglio, in un “memorandum esecutivo”, che il governo di Ghani “sarebbe stato in grado di tenere Kabul”. La verità è che, secondo il prestigioso quotidiano finanziario Usa, le agenzie di intelligence hanno cominciato a sgarrare già al tempo di Trump e hanno, poi, proseguito con Biden. Non riuscendo a fornire informazioni affidabili, per chiudere dignitosamente una guerra costata agli Stati Uniti migliaia di morti e almeno 2 trilioni di dollari.
Vivian Salama e Warren P. Strobel, i due giornalisti autori dell’inchiesta del WSJ, sottolineano che sono stati presi in esame anche i report del Direttorato Nazionale per l’intelligence e quelli dell’agenzia che lavora per il Dipartimento di Stato. I responsabili di questi organismi si sono rifiutati di commentare le notizie pubblicate in anteprima dal “Journal”. Un alto funzionario della Casa Bianca, che ha voluto conservare l’anonimato, ha detto che sostanzialmente avevano tutti ragione nel prevedere un drastico deterioramento della situazione. Ma, e qui casca l’asino, offrendo un quadro “misto”. Cioè, troppo variegato per essere affidabile e per sostenere efficacemente le decisioni politiche poi prese. “Non sono mica oracoli”, ha aggiunto.
Tuttavia, ad agosto, lo stesso Consigliere per la Sicurezza Nazionale, Jake Sullivan, parlava di “lavaggio a caldo” del ritiro, nel senso di una “risposta flessibile”. Che però non c’è stata, perché gli eventi sono precipitati troppo velocemente. Il direttore della CIA, William Burns, parlando alla Stanford University, ha dovuto ammettere i limiti “fisiologici”delle agenzie di intelligence. “Ci sono cose che non si possono mai riuscire a prevedere ha detto – come la fuga del Presidente Ghani da Kabul.”
Comunque sia, il Wall Street Journal riporta anche la marea montante di polemiche, che hanno accompagnato la caotica ritirata americana. Le accuse si sprecano. C’è chi cita rapporti, forse letti superficialmente, come quello del 13 aprile 2020, stilato dalla cosiddetta “cellula rossa” della Cia. Un documento che anticipava, virgola per virgola, il crollo dell’Afghanistan. Così come prevedeva il rapido dilagare dei talebani, lo studio pubblicato dal NIC (National Intelligence Council) del dicembre dello stesso anno.
