La Libia 10 anni dopo la fine di Gheddafi

A 10 anni esatti dalla morte, 20 ottobre 2021 il fantasma di Muammar Gheddafi continua ad aleggiare sulla Libia. Che si avvia al voto del 24 dicembre, per lasciarsi alle spalle un decennio ‘perso’. Se ci riuscirà.

«Oggi la Libia è un Paese stanco, sfinito dai continui scontri e con poco entusiasmo. Molti sono i dubbi sulle future elezioni, soprattutto perché non esiste un apparato statale di sicurezza che possa assicurare una morbida accettazione dei risultati elettorali. La Libia ha bisogno di tempo, ma né le Nazioni Unite né i leader occidentali sembrano averlo capito», il monito di ISPI.

 Il 20 ottobre 2011 a Sirte

Il 20 ottobre 2011 Muammar Gheddafi veniva catturato a Sirte, sua città natale, e trucidato in maniera selvaggia da combattenti delle forze ribelli. Alla notizia della morte del ‘Qaid’, guida, capo e leader incontrastato della Libia per più di 40 anni, «Le manifestazioni di gioia della popolazione raggiunsero ogni piazza del paese, inserendosi nell’ondata d’euforia diffusa che le Primavere arabe stavano producendo nel Maghreb così come in Medio Oriente», ricorda Federica Saini Fasanotti nella sintesi ISPI.

Il cane ‘rabbioso di Reagan’

In realtà, la fine di colui che Ronald Reagan definì “un cane rabbioso”, che per alcuni era uno sponsor del terrorismo e per altri ancora un ‘campione’ del panafricanismo, avrebbe segnato l’inizio di un decennio di turbolenze che hanno portato la Libia sull’orlo del baratro, alimentando crepe che tuttora ostacolano l’unità del paese, sottolinea l’Istituto di studi di politica estera.  

Ma c’era poco da festeggiare

«Di fatto il paese nordafricano, da allora  è ancora in guerra, attraversato da eserciti stranieri e privo di istituzioni forti, diviso e controllato da una nebulosa di gruppi armati, tribù e fazioni l’un contro l’altra armati, incapaci di ridare vita a un vero e proprio stato unitario».

Oggi, a 10 anni dalla sua morte, il fantasma del dittatore continua ad aleggiare su un paese tradito due volte: nelle aspettative create dalla rivoluzione e dalle potenze straniere intervenute per ‘liberarlo’.

Una morte e molti misteri

Sulla morte dell’ex dittatore libico, sono ancora molte le domande rimaste in sospeso. Tra chi uccise Gheddafi c’erano degli infiltrati? È verosimile che nell’esecuzione a bruciapelo del raìs fossero coinvolti governi stranieri che avevano interesse a mettere a tacere una voce, la sua, che avrebbe potuto rivelarsi ‘scomoda’?

Gheddafi e il ‘sistema Sarkozy’

Intorno al nome di Muammar Gheddafi, infatti, ruota l’inchiesta sui presunti finanziamenti libici nella campagna per le presidenziali francesi del 2007 che portò all’Eliseo l’ex presidente francese Nicolas Sarkozy. Una clamorosa vicenda politico-giudiziaria rivelata dal sito d’informazione indipendente Mediapart, per cui Sarkozy è indagato dal marzo del 2018.  In sette anni di indagini, i giudici di Parigi hanno fatto emergere un vero e proprio “sistema Sarkozy”,

una rete di personalità francesi e libiche coinvolte in un caso complesso che racchiude interessi politici, diplomatici ed economici, con numerose zone d’ombra.

Intervento sospettabile

«Una vicenda che – scrive Mediapart – potrebbe aver giocato un ruolo, coi suoi inconfessabili segreti, anche nell’interventismo militare francese in Libia, che precipitò la caduta e la morte di un dittatore che era stato ricevuto in pompa magna a Parigi». Nell’ottobre 2017 una quindicina di associazioni della società civile di diversi paesi africani hanno denunciato l’ex presidente francese alla Corte penale internazionale dell’Aia, accusandolo di essere responsabile dell’uccisione di Gheddafi nel 2011. Fatto sta che, dopo un decennio, quanto accaduto a Sirte è ancora molto attuale.

Ma il modo ancora offende

Il giorno in cui l’ex dittatore libico è stato ucciso c’erano molti libici che festeggiavano, ma anche molti costernati dalle circostanze della sua morte. «La gente voleva che Gheddafi fosse portato davanti alla giustizia -racconta Mary Fitzgerald, del Middle East Institute di Washington-, e per molti libici l’esecuzione in stile mafioso di Gheddafi ha ‘disonorato’ una rivolta di cui andavano orgogliosi».

Un vuoto di potere durato 10 anni

Ma non è solo per questo che l’anniversario di oggi in Libia, è accompagnato da un misto di sentimenti contrastanti su cui prevale la delusione seguita al tradimento delle aspettative sorte all’indomani della sua fine. La caduta di Gheddafi non è riuscita a portare democrazia e stabilità e, meno di tre anni dopo la sua morte, la Libia si ritrovava divisa in due campi rivali.

La decisione dell’amministrazione post-rivoluzionaria di vietare agli ex-gheddafiani di ricoprire cariche pubbliche “ha svuotato di ogni competenza le istituzioni statali”. Lo stesso errore del dopo Saddam in Iraq.

Vuoto di potere utile a chi?

E quando il vuoto di potere è diventato evidente, il paese si è fratturato lungo linee etniche, tribali e ideologiche, precipitando in una spirale di guerra civile in cui ogni milizia ha trovato sponsor stranieri pronti a sostenere una fazione e contendersi il controllo sulle risorse petrolifere del paese.

Se a spingere per l’intervento armato e la rimozione di Gheddafi nel 2011 erano stati principalmente Stati Uniti, Regno Unito e Francia, oggi – dopo il lungo conflitto tra istituzioni della Cirenaica e Tripolitania – sono Turchia e Russia ad emergere come principali forze di influenza presenti in Libia.

La lunga strada per la democrazia

Dopo un cessate-il-fuoco nell’ottobre dello scorso anno, seguito dalla nomina di un governo di unità nazionale con il mandato di condurre la Libia alle elezioni, il paese sta faticosamente cercando di voltare pagina. Il Parlamento ha varato una legge elettorale per le elezioni presidenziali previste il 24 dicembre prossimo a cui seguirà, 30 giorni dopo, l’elezione del nuovo Parlamento. Secondo il sistema elettorale scelto per eleggere il presidente, vincerà chi otterrà la maggioranza assoluta dei voti al primo turno. In caso contrario, andranno al ballottaggio i due candidati più votati.

Tra i possibili presidenti un Gheddafi

Tra i possibili aspiranti alla presidenza, oltre al generale Khalifa Haftar, ex uomo forte della Cirenaica, e il premier uscente Abdulhamid Dbeibah, c’è Saif al Islam Gheddafi, figlio minore del dittatore. Ma la strada per il voto è ancora lunga e ci sono sempre più dubbi sul fatto che il voto possa effettivamente svolgersi come previsto. Se però si arriverà alle urne Saif al Islam avrà dalla sua diversi vantaggi: il primo è il nome. Il secondo, il fatto peculiare che il figlio di colui che è visto da molti come il candidato meno ‘compromesso’ con i poteri stranieri e le violenze degli ultimi anni.

Nostalgia di stabilità

Il terzo vantaggio di Saif Gheddafi è la nostalgia, non certo per un regime che reprimeva il dissenso col pugno di ferro, ma per il periodo di stabilità con cui esso è coinciso e a cui molti ora guardano con rimpianto. Anche per questo gli occhi sono puntati sul 24 dicembre. L’importante è voltare pagina, e lasciarsi alle spalle un decennio ‘perso’.

Tags: Gheddafi libia
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