In Scozia, potranno essere smascherati quei Paesi che, bluffando, predicano bene e razzolano male, guardando prima di tutto alle esigenze della produzione e della quotidianità. Senza preoccuparsi troppo di quelli che potremmo definire “danni collaterali”, che ricadono sulle spalle di tutti.
L’obiettivo di limitare, a 1,5 gradi Celsius, l’incremento globale della colonnina di mercurio, appare difficile proprio per questo. Nella diplomazia “ufficiale” si direbbe “per disparità di vedute”: in quella “asimmetrica”, invece, si parla più prosaicamente di “dissonanza di interessi”. E andiamo al dunque. I maggiori “inquinatori”, a leggere le statistiche, sono Cina, Stati Uniti e, forse un po’ a sorpresa, l’India. Seguiti da mezza Asia e da una raffica di Paesi, più o meno industrializzati. Il gigante americano e quello indiano, però, meritano un articolo a parte. Sia per l’analisi delle serie storiche necessarie, e sia per la comprensione di quanto incidano le “attività umane” della quotidianità, derivanti dal relativo e massiccio processo di urbanizzazione. Attività che si sommano a quelle strettamente industriali, vecchie e nuove.
Diverso il discorso per la Cina che, con l’India, si avvia a essere il grande “untore” planetario di gas serra. Pechino genera annualmente circa10 miliardi di tonnellate di CO2 (il doppio degli USA). Le emissioni sono aumentate del 7% durante il periodo della pandemi, guidate da una ripresa economica “ad uno alta intensità di carbone”, con aumenti significativi di produzione di acciaio e cemento. Il tasso di crescita più veloce dal 2012. La Cina (formalmente) vorrebbe ridurre le emissioni di CO2 entro il 2030 e diventare “carbon-neutral” entro il 2060. Ma in pochi ci credono.
In effetti, circa il 70% dell’aumento di CO2 nel primo trimestre di quest’anno è dovuto al consumo di carbone, la cui produzione è aumentata del 16% si. Pechino si è impegnata a ridurre il consumo di carbone dopo il 2025, ma le sue emissioni totali di gas serra nel 2019 hanno superato, per la prima volta, quelle dell’intera Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE ). Anche quelle pro capite. Visti i contenuti livelli di partenza, la Cina potrebbe ancora aumentare le emissioni di carbone, addirittura del 5 o 10% entro il 2025. Con questo combustibile fossile, di cui è il più grande consumatore al mondo, infatti produce più dei due terzi della sua elettricità.
Dal canto suo, il Presidente Xi Jinping ha avvertito: “Spingeremo rigorosamente per lo sviluppo delle energie rinnovabili, ma senza progressi rivoluzionari nella tecnologia di stoccaggio, abbiamo ancora bisogno del carbone, per garantire la stabilità del nostro approvvigionamento energetico”.
Il vero problema per il governo cinese, che Xi non esprime chiaramente, è la crescente urbanizzazione, rapidissime ed esponenziale, che assorbe come una spugna enormi quantità di elettricità. In sostanza, i tempi della transizione energetica, dal fossile alle rinnovabili, sono troppo lunghi per i piani di sviluppo elaborati dal Partito comunista di Pechino. La necessità di accumulare velocemente, per investire altrettanto velocemente, non può dipendere dall’utilizzo di fonti energetiche che incidono pesantemente sui costi finali: progettazione, impianto, produzione e capillare distribuzione. Tutto ha un costo ritenuto per ora improponibile.
Nonostante questo, Li Gao, capo dell’Ufficio per i cambiamenti climatici presso il Ministero dell’Ecologia e dell’ambiente, ha detto alla BBC che la quota di combustibile prodotta dalle rinnovabili passerà al 20% nel 2025, rispetto al 15,3 del 2020. Tutto ciò progressivamente, come previsto dall’intero piano quinquennale. La potenza installata nel 2020 di centrali alimentate solo a carbone è stata di 46,1 gigawatt, GW,46 miliardi di watt: quanto il totale dei tre anni precedenti. La Cina, d’altro canto, sta finanziando la costruzione e l’impianto di centrali elettriche a carbone in molti Paesi del Terzo mondo. Secondo Li Gao, la limitazione delle emissioni di CO2 può coesistere con lo sviluppo industriale, “ma solo se bilanciata con altre priorità, quali crescita economica e alleggerimento della povertà”.