Processo ai torturatori di Regeni e al regime complice di al-Sisi. Il governo italiano parte civile. Conti anche economici tra Italia ed Egitto
Processo ai torturatori di Regeni e al regime complice di al-Sisi. Il governo italiano parte civile

Oggi alla Corte di Assise di Roma inizia il processo nei confronti dei quattro militari egiziani dell’Nsa, la National Security egiziana, accusati del sequestro, delle torture e dell’omicidio di Giulio Regeni, il ricercatore italiano ammazzato al Cairo nel febbraio del 2016. Chiamati in aula anche gli ultimi premier e ministri degli esteri italiani.
Processo indiretto al regime dittatoriale egiziano di Al Sisi. Problemi sul fronte politico economico tra i due Paesi.

Colpevoli probabilmente impuniti, ma ufficialmente assassini

Cinque anni e otto mesi di dolore, di rabbia, ma anche di orgoglio. Dolore e rabbia delle famiglia, orgoglio della giustizia italiana che contro infiniti ostacoli politici non solo egiziani, ha fatto il suo dovere. Ma oggi sul banco degli imputati non ci sarà nessuno: il regime del Cairo non ha mai risposto alla richiesta delle nostra magistratura di un domicilio degli imputati, per poter recapitare loro le comunicazioni giudiziarie.

Assenti il generale Sabir Tariq, dei colonnelli Usham Helmi, Athar Kamel Mohamed Ibrahim, e il maggiore Magdi Ibrahim Abdelal Sharif. Quasi certi assassini


Ai giudici oggi stabilire se l’assenza degli accusati è volontaria. Impossibile che non lo sappiano. Da questa prima decisione dipenderà lo svolgimento del procedimento. Se l’assenza sarà giudicata volontaria, processo in contumacia per sequestro, lesioni personali e concorso in omicidio.

L’arroganza spietata del generale-presidente

Il presidente egiziano Abdel Fattah al-Sisi, in beffa di fatto rispetto a ciò che si apre oggi a Roma, era a Budapest, ospite del gruppo Visegrad, a dire all’Europa che sui diritti umani il suo Egitto non accetta lezioni.
«La nostra è una leadership che rispetta e ama il suo popolo e si adopera per il progresso, non abbiamo bisogno di qualcuno che ci dica che i nostri standard sui diritti umani sono carenti», cita Chiara Cruciati, con Al Sisi che insegue il padrone di casa Orban in sfacciataggine. Ed è il despota che prova a dare lezione ai suoi ospiti ungheresi –orecchia politiche sensibili al suo dire- ma soprattutto a Bruxelles. Meno gradita a tutti i destinatari l’asserzione furbesca ma incontestabile, che i diritti dei migranti in fuga dall’Africa sono importanti quanto la libertà d’espressione.

Famiglia e governo parti civili

Solo ieri, alla vigilia della prima udienza, è stato rotto il silenzio ufficiale della politica. E la Presidenza del Consiglio che ha annunciato di volersi costituire parte civile contro i quattro imputati, «ingranaggi apicali del sistema di repressione e controllo sociale ereditato da al-Sisi e condotto a livelli ancora più soffocanti», li definisce il manifesto. La richiesta alla corte potrebbe essere già presentata oggi. Certamente in aula e parte civile, la famiglia Regeni. I genitori di Giulio, Paola e Claudio, hanno già dichiarato di voler chiamare a testimoniare i presidenti del Consiglio dei ministri in carica dal giorno del rapimento, il 25 gennaio 2016, a oggi, Matteo Renzi, Paolo Gentiloni, Giuseppe Conte e l’attuale, Mario Draghi. Con loro saranno chiamati anche i vari ministri degli Esteri

Il rinvio a giudizio decisivo

Il rinvio a giudizio dei quattro imputati il 24 maggio scorso, è l ’ultimo atto del lungo e solitario percorso compiuto dalla Procura di Roma, «che lo scorso dicembre di fronte alla Commissione parlamentare d’inchiesta sulla morte di Regeni annunciavano la chiusura delle indagini preliminari ricostruendo i nove giorni di orrore passati da Giulio nelle mani dei suoi aguzzini».

Peso politico dell’inchiesta

«Per questo sul banco degli imputati non ci saranno solo i presunti esecutori materiali del sequestro, delle brutali torture subite dal ricercatore e del suo omicidio», sottolinea Chiara Cruciati. «Ci sarà il governo egiziano che in questi anni – insabbiando e negando cooperazione giudiziaria all’Italia – ha fatto quadrato intorno ai suoi uomini, consapevole che perderne uno (o sacrificarlo) significherebbe mettere in dubbio la tenuta di un regime che, senza una base politica di riferimento, ha nelle forze armate e nei servizi segreti la sua sola fonte di legittimità».

Problema politico tutto italiano, quello dei rapporti economici e strategici con vicino nord africano. Energia e gas per primi, un po’ più da nascondere un importante export armamenti, e infine la questione Libia tra petrolio e migranti.

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