Guerra mondiale dei ‘microchip’, sul fronte europeo gli americani scelgono l’Unione
Guerra mondiale dei ‘microchip’, sul fronte europeo gli americani scelgono l’Ue

Per la verità, la guerre mondiali non armate in corso sono almeno tre, compresa quella da titolo dei ‘Microcip’ di cui stiamo per raccontarvi. Secondo anni di stragi del dannato coronavirus, che ancora molti sperano di esorcizzare c oi vaccini e accantonandolo, e quella dell’energia.
I paesi produttori di energie non rinnovabili che, alla faccia della marcia verde verso eolico e solare, vendono sempre più gas, petrolio e persino carbone a prezzi a salire. La legge della domanda, dell’offerta, e del profitto.
Ma sentiamo Orteca sui Microchip, che è il terzo guaio che abbiamo alla porta.

Inverno lacrime e sangue

Inutile farsi facili illusioni o sperare che la buona stella risolva sempre i nostri problemi. Il prossimo, per l’economia globale, si prospetta come un inverno da “lacrime e sangue”. Dietro l’angolo, c’è sempre lo spettro di una ripresa della pandemia da Coronavirus. Non solo, ma a questa spada di Damocle, si aggiunge l’incalzante crisi energetica e, a completare il quadro, la sempre più evidente carenza nell’offerta di “semilavorati ad alta tecnologia”. I “microchip” per capirci, che ormai entrano in tutte le catene di montaggio di tutti i beni durevoli più costosi e sofisticati. Dai televisori, ai telefonini, fino alle autovetture di ultima generazione. La guerra mondiale scoppiato intorno alla produzione e alla distribuzione dei semiconduttori, sta sconvolgendo tutte le strategie di mercato precedentemente definite.

Addio asse Atlantico di Boris

L’americana “Intel”, per esempio, non costruirà più una mega-fabbrica di chip nel Regno Unito, dopo la Brexit. L’amministratore delegato dell’azienda ha affermato che sta riconsiderando la possibilità di impiantare una fabbrica di semiconduttori in Inghilterra. «Avevamo considerato la Gran Bretagna il sito ideale per la realizzazione dei nostri microchip nel Vecchio Continente – ha detto Pat Gelsinger alla BBC – ma dopo l’uscita di Londra dall’Europa, ci sono molti altri Paesi che ci offrono condizioni migliori e concreti sostegni». “Intel” vuole aumentare il volume della sua produzione di semiconduttori per rispondere alla carenza globale dell’offerta, che in questo momento affligge il mercato. L’azienda afferma che la crisi sta dimostrando come l’Europa dipenda troppo dall’Asia, per le esigenze di produzione dei chip. Ma la stessa cosa si può dire anche per gli Stati Uniti, si fa un’analisi comparativa della disponibilità planetaria di semiconduttori.

Usa in Europa per fermare la Cina

“Intel” vuole investire 95 miliardi di dollari per realizzare nuovi impianti, o per aggiornare vecchie fabbriche di semiconduttori in Europa, nei prossimi 10 anni. Oltre ad aumentare la sua produzione negli Stati Uniti. E l’azienda ha ormai deciso di collocare la sua fabbrica nei confini dell’Unione, abbandonando l’idea di investire nel Regno Unito. Pessima notizia per il borioso Boris, che mercoledì a Manchester, al congresso del partito conservatore, ha fatto finta di non sapere.

Rincari a catena

Attualmente, come abbiamo detto, c’è una grave crisi nell’offerta di microchip sul mercato internazionale, a causa dell’improvviso aumento della domanda, per svariati intoppi nella catena di approvvigionamento. Questa scarsità di semilavorati di qualità ha fatto aumentare i prezzi di automobile e computer, le cui catene di montaggio hanno dovuto necessariamente rallentare. Secondo la “Intel”, i prezzi dei beni di consumo durevoli legati alla scarsità di semiconduttori sono destinati a salire, almeno fino a Natale. E, comunque, per recuperare il ritardo ci vorranno parecchi mesi, dato che il mercato dovrebbe stabilizzarsi solo nel 2023. D’altro canto, il settore dei microchip è destinato a raddoppiare globalmente il suo volume d’affari, arrivando, entro il 2028, alla bellezza di 800 miliardi di dollari.

Politica estera Usa

Il discorso fatto dalla “Intel”, in effetti, coniuga finanza e politica estera. L’azienda americana spera di avere sostegni e fondi speciali dagli USA e dall’Europa, che dovrebbero essere interessati a diminuire la loro dipendenza strategica dall’Asia. Prima di tutto. per questioni, viene sottolineato, di “sicurezza nazionale”. In effetti, lo sbilanciamento è tangibile: oggi l’industria americana produce solo il 12% del fatturato mondiale di semiconduttori, mentre la coreana “Samsung” e la taiwanese “Taiwanese Semiconducor Manufacturing Company” arrivano al 70%. “In questo senso, è chiaro che nessuno dovrebbe essere tanto dipendente da qualche altro” ha sostenuto Gelsinger

Concorrenti planetari

Ma gli altri non dormono sugli allori. I taiwanesi di “TSMC” (i più grandi produttori mondiali di semiconduttori “a contratto”) spenderanno 100 miliardi di dollari nei prossimi tre anni, per aumentare l’output. Mentre “Samsung” arriverà a 205 miliardi di dollari. “Intel” è stata il cuore pulsante della Silicon Valley e vuole tornare a essere capofila nel settore dei semiconduttori. L’azienda e gli Stati Uniti. Insomma, quella dei microchip è solo una delle prime sfide planetarie, che segneranno il definitivo passaggio a modelli industriali, produttivi e distributivi di tipo “4.0”, “5.0”. E oltre. Chi arriva per primo vincerà la prossima guerra mondiale, senza sparare un colpo.

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