
Nell’autunno del 1899 in Cina, nelle città di Pechino e Tsientsin dove maggiore era la presenza di rappresentanze occidentali, cominciarono a manifestarsi tensioni contro gli insediamenti europei, e contro le numerose missioni religiose. La protesta divenne in breve una rivolta e Pechino fu circondata dagli insorti. I ‘boxer’ – il nome derivava dal fatto che la stragrande maggioranza frequentava scuole di arti marziali una delle quali si chiamava appunto ‘società dei pugni armoniosi’ – godevano dell’appoggio della popolazione. Nel giugno 1900 anche alcuni reparti dell’esercito regolare, con l’assenso dell’imperatrice Cixi, si unirono alla rivolta assediando il quartiere delle ambasciate. La risposta occidentale fu immediata: prima le marine da guerra di otto nazioni (Stati Uniti, Francia, Gran Bretagna, Russia, Germania, Austria-Ungheria, Giappone e Italia), poi i contingenti militari partiti dall’Europa, dalla Russia e dal Giappone. L’imperatore tedesco Guglielmo II, alla partenza della spedizione da Kiel, pronunciò una frase che divenne storica: «Comportatevi da Unni!» Il 14 agosto fu occupata Pechino e cominciò una durissima repressione che sarebbe durata settimane.
Corrotto e indebolito, il regime imperiale della dinastia Qing crollò dopo un’ennesima rivolta scoppiata nelle province del sud. Fu proclamata la repubblica nel 1912, ma non per questo tornò la pace. Nel 1914 scoppiò la Prima Guerra mondiale e, alle difficoltà interne della Cina, si aggiunse il fatto che le potenze europee si combatterono tra loro sul suo territorio. La Germania aveva infatti ottenuto una concessione di ben 500 chilometri quadrati nella baia di Kiao-Ciao e forze giapponesi ed anglo-indiane la costrinsero alla resa dopo duri combattimenti. Il paese dopo la guerra subì così maggiori ingerenze occidentali: per decenni mancò un governo centrale e nelle province governavano i signori della guerra. A partire dal 1927 iniziò lo scontro tra l’ala nazionalista del Kuomintang e il partito comunista cinese. Nel 1931 il Giappone occupò la Manciuria trasformandola in un protettorato, e nel 1937, iniziò l’occupazione di tutta la Cina: nemmeno la seconda guerra cino-giapponese fermò però la guerra civile. Dopo l’attacco giapponese a Pearl Harbor la Cina fu coinvolta nella Seconda Guerra mondiale: Chiang Kai-shek, sperando nell’aiuto occidentale dopo la guerra per vincere il nemico Mao, dichiarò guerra alle potenze dell’Asse, mentre Mao combattendo anche lui i giapponesi sperava invece nell’aiuto dell’Unione Sovietica.
Tra il 1946 e il 1950 si svolse la fase finale dello scontro, ma il 1° ottobre 1949 Mao vincente con la ‘Lunga marcia’, aveva proclamato la Repubblica popolare cinese con capitale Pechino. Prima della fine dell’anno Chiang Kai-shek fu costretto a portare i resti del suo esercito verso la costa davanti all’isola di Taiwan. I superstiti raggiunsero l’isola grazie alla Settima flotta americana. E Chiang Kai-shek proclamò Taipei capitale ‘provvisoria’ della Repubblica cinese. Entro il 1950 furono annientate piccole sacche di resistenza nazionaliste e la situazione si cristallizzò con l’occupazione da parte della Cina di Mao dell’isola di Hainan. Il 24 giugno 1950 scoppiò però la guerra di Corea e, sebbene poco o nulla percepito in Occidente, si allargò anche il solco che divideva Mao da Stalin. Stalin non intendeva in alcun modo sostenere l’invasione del sud e Kim il Sung – già trattato assai rudemente in un incontro al Cremlino – si vide costretto a chiedere aiuto alla Cina, nei confronti della quale nutriva però un sospetto e timori di ingerenza. Mao, che era stato aiutato dai coreani nella fase finale della guerra civile, dovette inviare truppe in Corea, ma –si dice– non lo abbia fatto con molta convinzione e concretezza.
In Asia centrale il confine tra Russia e Cina era stato oggetto di trattati sin dal 1689, quando i due paesi erano ancora due imperi. Un primo confine fu fissato lungo il fiume Argun e seguirono altri trattati nel 1727, nel 1858 e nel 1881. Tra Russia sovietica e Repubblica cinese si era combattuta una guerra nel 1929, ma quarant’anni dopo, nel 1969, esplose invece una più vasta crisi sino-sovietica. Nel 1967, in piena «rivoluzione culturale», le Guardie Rosse avevano circondato l’ambasciata russa a Pechino e nel 1968 le guardie di frontiera russe attraversarono in forze il fiume Ussuri ‘pare’ dopo «l’ennesima provocazione cinese», anche se si trattò della semplice e consueta ostentazione dei libretti rossi. Un ultimo episodio bellico di un certo rilievo infine si verificò nel 1979 lungo il confine tra Cina e Vietnam. Il Vietnam aveva da poco invaso la Cambogia rovesciando il regime dei khmer rossi sostenuto invece dalla Cina. L’attacco cinese a sorpresa ottenne solo l’occupazione di pochi villaggi tra le montagne del nord Vietnam, ma un ponte aereo pianificato fulmineamente da Giap in persona respinse l’invasione. Alla fine però l’esercito cinese rivelò una carenza di materiali disastrosa. Secondo fonti di intelligence occidentali non si era trattato nemmeno di un’operazione voluta da Pechino, ma da un ambizioso generale.