Se la resa culturale e politica non è prevista
Se la resa culturale e politica non è prevista

Certo che è dura. Se hai a cuore la giustizia sociale, l’uguaglianza, la bellezza, il bene comune, sei sconfitto in partenza. Non hai sponde politiche e nemmeno culturali. I media narrano una vita parallela, con grande eleganza e anche con grafici e dibattiti pieni di posizioni che si scontrano nell’arena televisiva. Sui social imperversa il niente, ma pieno di livore, accuse, incapacità di sottrarsi dall’autostrada comunicativa che evita accuratamente le contraddizioni reali della società.

Un essere umano gentile può essere arrestato per aver aiutato i migranti, per un reato di solidarietà: quante volte sta accadendo? Una donna giovane, con un megafono, si è fatta quasi nove mesi di carcere preventivo per aver manifestato dissenso pacifico, mentre il pistolero di Voghera è ai domiciliari. E il caso di Mimmo Lucano? Che legalità rappresenta una condanna così minacciosa? È una sentenza o un monito? Chi oserà mettere in dubbio, nel nome di un diritto umano, le leggi assurde che la politica promana?

Poi le analisi sul voto. La maggior parte dei cittadini non va a votare. E non ci va per disincanto, perché non pensa che votare uno o l’altro possa cambiare qualcosa. Se ci va, vota il meno peggio; paradossalmente anche chi è di sinistra si trova a scegliere la stabilità, la sicurezza del conosciuto, le buone maniere di chi governa senza mai mettere in dubbio le regole feroci della società.

Si vota per evitare il ridicolo, l’antipolitica, il populismo, il fascismo dalla faccia feroce, il razzismo ululato. Con il risultato di assecondare, comunque, scelte politiche ed economiche sostanzialmente di destra, devastazioni ambientali nel nome del progresso, un’idea plastificata della cultura. Neanche il voto di protesta ha smosso di un millimetro la situazione, si potrebbe dire che proprio per l’insignificanza politica dei rappresentanti di quel voto, gli altri son apparsi come accettabili anche non facendo niente per esserlo davvero.

Che fare? Continuare a fare le cose, a coltivare cultura e saperi, a raccontare i territori e i paesaggi umani non delegando l’anima al marketing e all’appiattimento televisivo. Tenere accesa una piccola fiamma sovversiva nel cuore, una piccola luce nella notte scura. La resa dell’accettazione non è prevista per chi non è capace di far finta di niente, per chi non sa essere vantaggiosamente indifferente.

Oggi prevale la celebrazione del potere dei leader, dei capi e capetti, del successo economico che trasforma il mondo (mai in meglio). Ma, parafrasando Fernand Braudel, i poteri sono provvisori, come i giudizi, come ciò che oggi ci sembra ineluttabile.

Un giorno i nostri figli guarderanno con un sorriso alle miserie dei personaggi che ci appaiono oggi mediaticamente giganteschi e sono un niente destinato a scomparire in un soffio nelle pieghe della storia. Così, anche se oggi tutto ci sembra in salita, senza vie d’uscita, con la bruttezza che anima le scelte estetiche, di profitto, distruttive del nostro abitare, occorre restare vivi. Non piegarsi alle regole del buon senso conformista.

“Alzare la testa, guardare lontano, riprendere a tessere pensiero. Non farsi ingarbugliare nello spezzatino delle cose inutili, nelle informazioni che si accavallano e che non ci dicono niente di chi siamo e di che cosa dobbiamo fare per credere nell’utopia e renderla concreta, nel prendere l’impossibile come concetto da superare”.

Certo che è dura. Ma non ci sono alternative.

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