Queste crisi energetiche c’entrano con la ripresa della domanda di carbone, petrolio e gas naturale dopo il calo dovuto alla pandemia da coronavirus. L’aumento della domanda ha fatto aumentare i prezzi, in alcuni casi sono ulteriormente cresciuti per i grandi problemi di logistica e distribuzione causati a loro volta dalla pandemia.
Per gli esperti del settore, entro fine anno o primi mesi del 2022 la domanda di petrolio arriverà a 100 milioni di barili al giorno. Come pre pandemia (nel 2019, 99,7 milioni al giorno). Riluttanza dei paesi esportatori ad aumentare la produzione e i prezzi volano. Petrolio e gas. Prezzi del gas naturale più che triplicati sia in Europa che in Asia. Il fatto che l’anno scorso le temperature invernali siano durate a lungo ha fatto ridurre le scorte più del previsto. Nell’Unione Europea le riserve sono ai loro minimi storici dal 2013. E nei prossimi mesi ci sarà un ulteriore aumento della domanda proprio per il ritorno dell’inverno e l’uso dei sistemi di riscaldamento.
«Ogni paese si rifornisce di energia in modo diverso e dunque vive una diversa crisi energetica». In molti paesi dell’Unione Europea, Italia compresa, il problema principale è il gas: più del 20 per cento dell’energia elettrica prodotta nei paesi dell’Unione è ottenuta dal gas naturale (in Italia circa il 40 per cento). E quasi tutto questo gas è importato: quasi il 90 per cento proviene da paesi non Ue, di cui quasi la metà (il 43,6 per cento nel 2020) arriva dalla Russia.
La Russia negli ultimi mesi ha ridotto i flussi di gas che riforniscono l’Europa attraverso i gasdotti che passano da Bielorussia, Polonia e Ucraina. Mosca dice di aver avuto maggiori richieste dai paesi asiatici, ma assieme fa pressioni per ottenere l’attivazione del Nord Stream 2, il nuovo grande gasdotto che passa sotto il mar Baltico e raggiunge direttamente la Germania, potenzialmente operativo da subito. Ricatti incrociati. Chi perde tutto senza quei diritti di passaggio lungo i suoi gasdotti e che ha una atavica ostilità verso l’orso russo. E alcuni parlamentari europei sono arrivati a chiedere di indagare su Gazprom. Poi toccherà ai Saud regnanti e alle altre Petro-Potenze.
Allo stesso tempo, i giacimenti di gas del mare del Nord sono sempre meno produttivi. I Paesi Bassi, a causa di rischi sismici, stanno procedendo per esempio con la chiusura del giacimento di Groningen, grazie a cui fino a due anni fa erano, insieme alla Danimarca, gli unici esportatori netti di gas nell’Unione Europea. Nei paesi nordici inoltre si risente di un’estate particolarmente secca, che fatto scendere ai minimi i bacini che alimentano le centrali idroelettriche. Pessima notizia anche per il Regno Unito e l’Irlanda, che comprano parecchia energia dalla Norvegia.
Mercoledì, il presidente russo Vladimir Putin ha risposto alle preoccupazioni dell’Europa sul rifornimento di gas dicendo che la Russia potrebbe pensare di aumentare la produzione. «Anche se non si tratta ancora di un vero annuncio, le parole di Putin sono bastate a far calare notevolmente i prezzi dell’energia». Facile osservazione, l’uso storico generalizzato dell’energia per ottenere obiettivi politici, ed è scontato che Putin avrà qualcosa da chiedere in cambio all’Europa, parlando ad esempio di sanzioni.
In altre parti del mondo la crisi energetica è più legata al carbone. La Cina usa il carbone per produrre il 56 per cento della sua energia elettrica. E pur essendo il paese che possiede la metà di miniere di carbone del mondo, in questo momento ne è a corto: «secondo un’analisi citata dal South China Morning Post, il 21 settembre le riserve di carbone nazionali erano sufficienti a produrre elettricità per soli 15 giorni, un minimo record». Problemi, quelli già segnalati in partenza della ripresa dell’economia mondiale dovuta alle campagne vaccinali contro il coronavirus. E Pechino ora compra carbone anche dalla non amata Australia, oltre che Indonesia e persino Russia.
Una delle ragioni per cui il gas russo scarseggia in Europa, secondo molti analisti, è che diversi paesi dell’Asia, e soprattutto la Cina, hanno molto aumentato i loro ordini. Alla fine di settembre, fra le altre cose, il governo cinese ha ordinato alle sue grandi aziende di stato di assicurarsi forniture di gas «ad ogni costo», secondo informazioni di Bloomberg.
Anche l’India, che ottiene circa il 66 per cento della sua produzione di elettricità da centrali a carbone, in questo momento di ripresa della produzione industriale sta affrontando una crisi energetica simile. Il 3 ottobre le 135 centrali termoelettriche del paese avevano riserve sufficienti per soli quattro giorni – contro i tredici giorni di inizio agosto. Con l’aumento dei prezzi del carbone, l’India ha ridotto le importazioni, ma la sua miniere, antiquate e pericolose, sono parte del problema. «Se ora il paese non riuscirà ad aumentare la produzione o non deciderà di importare più carbone, andrà incontro al rischio di blackout e razionamento dell’elettricità».