
Fu l’allora sostituto della Segreteria di Stato Angelo Becciu a presentare la signora Cecilia Marogna al generale Luciano Carta, al tempo all’Aise, come ‘risorsa’ per i Servizi segreti italiani per l’estero. Addirittura come trait d’union tra l’Italia e la rete informativa delle Nunziature, di fatto le ambasciate vaticane in tutto il mondo, che senza alcun dubbio costituiscono una risorsa appetibile per qualsiasi servizio di intelligence, scrive Maria Antonietta Calabrò sull’HuffPost. «Un’offerta di per sé golosa», sottolinea la giornalista, «che bypassava del tutto i rapporti consolidati tra la Gendarmeria vaticana (che agisce non solo come polizia giudiziaria e di prevenzione, ma anche come “intelligence” del piccolo stato del Papa) e i Servizi italiani». Ed ecco che scopriamo che anche in Vaticano qualcuno aveva montato, o tentato, «la creazione di un “servizio parallelo” personale di Becciu all’interno delle Mura Leonine, peraltro ammesso dalla Marogna».
La donna ha prodotto a sua difesa una lettera di accreditamento del cardinale Becciu del novembre 2017 (quando Luciano Carta era vicedirettore del servizio). «Era il numero 3 del Vaticano che lo chiedeva», avrebbe sottolineato Carta, «asseritamente per risolvere sequestri all’estero di religiosi». Verbi contorti ma sostanza chiara: come potevo dire di no? Ma dopo un certo periodo (e stipendi da presumere), lo stesso generale Carta decise di “congelare” la collaborazione offerta da Becciu, attraverso la “dama del cardinale”, vista la non apprezzabile (nel senso della sostanziale inutilità) del contatto. Il file Marogna venne poi definitivamente “chiuso” dal successore di Carta (dal novembre 2018 divenuto capo del servizio), il generale Gianni Caravelli (nominato nel maggio 2020).
Questa la realtà molto limitata nel tempo dei rapporti tra Cecilia Marogna e i nostri Servizi segreti, come emerge dalla Relazione del Dipartimento per le informazioni per la sicurezza (Dis), il coordinamento tra i due veri Servizi segreti, consegnata il 15 settembre scorso al Copasir, la commissione parlamentare di controllo. Insomma, tutto quello che ha fatto e disfatto la donna, non riguarda l’attività operativa dei Servizi segreti italiani e neppure di quelli vaticani. Il Copasir aveva ricevuto a maggio un esposto della Marogna che voleva fosse riconosciuta la sua attività di “agente segreta” di collegamento con l’Italia per sfuggire all’accusa di peculato incombente su di lei. L’accusa -lo ricordiamo- è di aver ricevuto dalla Segreteria di Stato per ordine di Becciu, pagamenti per circa 600 mila euro.
Cecilia Marogna aveva tentato la mossa da ‘agente segreto’ a soli a soli 4 giorni dall’apertura del processo vaticano contro di lei, Becciu e gli altri imputati per l’affare del palazzo di Londra. Lo stesso 27 luglio il suo avvocato aveva presentato un’istanza al presidente del Tribunale vaticano, Giuseppe Pignatone, perché la posizione della sua assistita fosse stralciata o il processo contro di lei sospeso, in attesa che la donna fosse liberata da un preteso “segreto di Stato”, italiano e addirittura Nato, di cui sarebbe stata depositaria. Ma già il 29 luglio la smentita da Chigi, il solo riferimento politico di autorità sui Servizi Segreti: nessun segreto di Stato italiano che la coinvolga.
Ora tocca al tribunale Vaticano, già martedì prossimo, decidere sulla probabile prosecuzione del processo anche per la presunta agente. On è passato inosservato -sottolinea Maria Antonietta Calabrò- che l’esposto della Marogna è caduto in un momento di particolare turbolenza per i Servizi italiani, dopo il cambio di Governo e dopo le due trasmissioni di Report che mostravano l’incontro semiclandestino tra l’allora dirigente del Dis Marco Mancini e l’ex premier Matteo Renzi, forse alla ricerca di un altro accredito politico per una promozione. Da allora sono cambiati il direttore del Dis e il presidente del Copasir. Mentre Mancini ha dovuto lasciare i servizi segreti italiani, dopo peraltro non essere riuscito a rientrare all’Aise di cui voleva diventare vice direttore.
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