
«Non è ancora lo sbarco dei mercenari russi, oggetto di specifico anatema francese, ma poco ci manca», la premessa di Marco Boccitto sul Manifesto. «Il cargo giunto giovedì da Mosca con quattro elicotteri da combattimento e altre forniture militari destinate all’esercito di Bamako», ed è armamento in parte comprato, per quanto possibile, in parte «dono della Federazione russa, paese amico con cui abbiamo sempre mantenuto una fruttuosa collaborazione», ha specificato il ministro ad interim della Difesa maliano. Usa di qualità con armamento pesante forse più politicamente che militarmente, visto che il Mali dovrà attendere l’arrivo dei mercenari russi della Wafgner per poterli usare in combattimento.
Il presidente francese Emmanuel Macron si arrabbia molto. «Vergognose le parole usate dal capo del governo transitorio maliano, Choguei Maiga, nel suo discorso all’Onu, con l’accusa rivolta alla Francia di voler abbandonare il Mali alla mercè delle milizie islamiste». Ad offesa diplomatica, offesa e mezza: Macron dai microfoni di Radio France International, ha ricordato Choguei Maiga di essere «figlio di due colpi di Stato. Legittimità dell’attuale governo è democraticamente zero».
Quello che Maiga denuncia come «abbandono» è in realtà una ‘rimodulazione’ della presenza militare francese nel Sahel, con il centro nevralgico spostato nel confinante Niger dove è già operativa una base aerea, il ridimensionamento della forza di 5 mila uomini della missione ‘Barkhane e una redistribuzione dei rischi, oltre che degli oneri finanziari, tra i paesi che partecipano alla task force Takuba, a cui partecipa anche l’Italia.
«Nel frattempo il Mali ha avuto sì un nuovo sussulto istituzionale», la definizione quasi diplomatica di Boccitto della successine dei colpi di mano militari. La destituzione del presidente Keita nell’agosto 2020, e il ‘colpo di mano ‘del maggio scorso ha trasferito i poteri a una giunta militare guidata dal colonnello Assimi Goïta. Un’evoluzione non sgradita alla parte della società maliana più legata alle confraternite islamiche tradizionali, ormai convinta che la presenza francese non abbia giovato alla sicurezza della popolazione civile e che sia tempo quindi di tentare la linea del dialogo con i jihadisti, perlomeno con le frange più “interne” alla realtà locale.
Come la «katiba Macina, confluita nel cosiddetto Gruppo di sostegno all’islam e ai musulmani».
Nel frattempo per sopperire al disimpegno francese sul terreno, porte aperte ai contractor russi. Il ministro degli Esteri russo Lavrov ha confermato i contatti tra le autorità maliane e la compagnia privata Wagner. Ci sarebbe già la firma su un contratto per l’invio di 1000 «formatori». La linea rossa, ammonisce la Francia con dietro l’Europa e i suoi alleati, Italia compresa, oltre la quale scatterebbe per il Mali l’«isolamento internazionale». Quale sia la ‘linea rossa’ da non superare e a rischio di quale ritorsione eventuale non è stato chiarito. Mille e non più di mille, o l’illusione di semplici ‘istruttori’ di cose militari?
Altro grattacapo per Parigi è il golpe ‘simmetrico’ che lo scorso 4 settembre ha deposto il presidente Alpha Condé nella vicina Guinea-Conakry. Un’altra ex colonia sempre più insofferente all’influenza francese e in fase di avvicinamento alla Russia, che da parte sua punta a un esteso controllo sui giacimenti di bauxite del Paese, a scapito della Cina.