Ieri la giovane svedese Greta Thunberg non è andata per il sottile, e le sue parole di scherno nei confronti dei governi mondiali sono finite in prima pagina. Promesse tante, interventi reali pochi, l’accusa più che provata. Dal 2020 tantissimi paesi hanno annunciato obiettivi di ‘neutralità climatica’ al 2050 (tra cui Ue e Usa) o “carbonica” al 2060 (la Cina). E a settembre Biden ha promesso di raddoppiare i fondi americani per aiutare i paesi più poveri ad affrontare la transizione, da 5 a 11 miliardi. Ma siamo ancora lontani.
Perché c’è chi fa poco, e persino chi rema contro, denuncia ISPI. Con obiettivi “troppo ambiziosi” –la difesa al ‘piano piano, poco a poco’- le ragioni spesso vitali dei grandi esportatori di fonti fossili: da paesi stabili come Arabia Saudita alla Russia (entrambi i Paesi parte del G20), a quelli attraversati da crisi come Libia, Iran e Iraq. Per loro, il “futuro verde” sarà oggettivamente complicato.
Roma e Londra alleate, e le promesse a livello G20 negli ultimi mesi si sono moltiplicate. E il riscaldamento globale potrebbe fermarsi a +2,1 gradi nel 2100, anziché toccare i +2,8 come avverrebbe senza ulteriori riforme. L’accordo di Parigi prevedeva uno sforzo ancora superiore, con limite massimo +1,5°, «ma per arrivarci servirebbero investimenti per 100 trilioni di dollari in 30 anni».
Il rapporto sul clima pubblicato ad agosto dal Panel intergovernativo delle Nazioni Unite è un “codice rosso” per l’umanità. La temperatura del nostro pianeta si è già innalzata di 1.1 gradi rispetto ai livelli pre-industriali e l’obiettivo di contenere il riscaldamento globale entro 1.5 gradi, come stabilito alla Conferenza di Parigi del 2015, fallirà già nel 2040 se non si procederà immediatamente a tagli massicci delle emissioni di anidride carbonica.
Quella sull’ambiente è una grande partita geopolitica perché i Paesi in via di sviluppo non accetteranno di parlare di clima finché non vedranno progressi sul fonte dei vaccini e della ripresa economica. Se non ci aiutate nella pandemia, dicono, perché dovremmo credere alle promesse occidentali per il futuro? Gli si chiede di cambiare radicalmente il modello di sviluppo per indirizzarsi verso qualcosa di incerto che noi stessi non abbiamo ancora realizzato, denuncia Luigi Ippolito sul Corriere della sera.
Per saltare direttamente a una economia pulita i Paesi emergenti hanno bisogni di accesso a capitali e risorse umane: «Non è una questione di sussidi» spiegano gli esperti, «ma di fornire capacità finanziaria a quei Paesi per investire in tecnologie verdi, assieme alla capacità tecnologica. Paesi come l’India o il Bangladesh oppure il Pakistan devono avere la fiducia che se passano alle energie rinnovabili le luci resteranno accese, detto brutalmente».
RealpolitiK: «al momento la Cina sta fornendo molto più sostegno alle vaccinazioni nei Paesi in via di sviluppo che gli occidentali e dunque quei Paesi non faranno pressioni sulla Cina mentre ricevono i vaccini da loro». Ma anche una contrapposizione frontale con Pechino non porterebbe nulla di buono : «Se noi andiamo verso una nuova guerra fredda, la Cina non avrà spazi di manovra e non avrà incentivi a cambiare».
«Il triangolo su cui costruire una politica climatica di successo è Usa-Ue-Cina: non abbiamo chance se queste tre componenti non lavorano assieme in una maniera cooperativa. Non c’è al momento comprensione a livello governativo in Occidente di quanto sia importante guardare attraverso l’intero spettro geopolitico e non vedere il cambiamento climatico come un problema a se stante».
«Non vediamo abbastanza paura sulle facce dei diplomatici: è difficile vedere come si rimetterebbero assieme gli sforzi, dato l’attuale contesto globale e il dilagare dei populismi. Non pensate che si possa tentare di nuovo dopo questa volta»