
«Contemporaneamente alla notizia del decesso, si è saputo che le autorità libanesi hanno deciso di sospendere nuovamente l’indagine sui responsabili della strage, dopo aver ricevuto ripetute pressioni da alcune preminenti uomini di governo», scrive Matteo Suanno. Pochi giorni fa l’ex ministro dell’Interno Nouhad Machnouk e l’ex ministro ai Lavori Pubblici Youssef Finianos, avevano accusato il giudice incaricato Tarek Bitar di faziosità e cattiva condotta. L’altro ieri, il blocco dell’inchiesta per la seconda volta dalla strage.
Lo scorso febbraio era toccato al giudice Fadi Sawan, sollevato dall’incarico su sentenza della Corte di Cassazione libanese, struttura fortemente segnata al suo interno dalla appartenenze politiche. E per la serie del bue che dà del cornuto all’asino, l’accusa all’inquirente Sawan di non poter essere politicamente imparziale perché abitava in uno dei palazzi gravemente danneggiati dall’esplosione.
In questi mesi l’inquirente numero due aveva provato a portare in tribunale l’ex Primo Ministro Hassan Diab, insieme ad altri ministri, ma ognuno di loro si è sottratto alla magistratura dietro il paravento della immunità parlamentare di cui ancora godono, nonostante la fine del loro mandato, privilegio mai revocato nonostante i numerosi appelli da parte della magistratura e della società civile.
In risposta ai ripetuti tentativi di ostacolare il processo giudiziario, Lynn Maalouf, vice direttore internazionale di Amnesty International per il Medio Oriente e il Nord Africa, ha dichiarato: «Questa decisione è solo l’ultima prova che il potere politico ha sempre avuto tutto l’interesse a bloccare le indagini». «Ogni tappa del processo è stata ostacolata dai tentativi di occultare le indagini e proteggere i responsabili», ha continuato Maalouf.
Altro punto su cui ancora manca chiarezza riguarda la proprietà della MV Rhosus, la nave abbandonata nel porto di Beirut con un carico di oltre 2500 tonnellate di nitrato di ammonio, responsabile dell’esplosione. A questo proposito, la piattaforma di informazione Daraj ha recentemente pubblicato un’inchiesta dell’ Organized Crime and Corruption Reporting Project, network indipendente di giornalisti investigativi attivi nelle aree dei Balcani, del Caucaso e del Vicino Oriente.
L’inchiesta ha ricondotto il carico alla ‘Savaro Ltd’, compagnia di Dnipro, in Georgia, destinato ufficialmente a una fabbrica di materiali esplosivi in Mozambico nel 2013, ma con forte sospetti di ‘triangolazione’ copn altri destinatari. Proprietario della società è l’ucraino Volodymyr Verbonol, a cui è collegata una seconda compagnia a Londra, che porta lo stesso nome. La Savaro sarebbe al vertice di una rete di società fantoccio operanti in Paesi diversi e sotto la supervisione di Mykola Aliseyenko, parente di Verbonol e magnate delle costruzioni.
Dall’inchiesta emergono i ripetuti tentativi di oscurare la linea di comando dietro alla Savaro, definiti come «un deliberato tentativo di aggirare ogni responsabilità, facilitando pratiche criminali o altri affari disonesti». La copertura avveniva per mano di due società offshore in affari con alcuni importanti soggetti delle ex repubbliche sovietiche: la cipriota Interstatus e l’inglese Alpha & Omega, inquisita dalle autorità inglesi per ipotesi di riciclaggio.
Il carico della Rhosus sarebbe stato acquistato dalla società omonima con sede a Londra e da una secondo soggetto, Agroblend Exports Ltd. che figura registrata alle Isole Vergini Britanniche. Così facendo, la proprietà della Savaro e il nome di Verbonol sarebbero sistematicamente oscurati dalla grande discrezione operativa che le isole caraibiche consentono agli imprenditori che decidono di pagare poche tasse sul loro territorio.
Perché l’abbandono e la cotina fumogena sulla proprietà della Rhosus, senza toccare il carico chimicamente instabile al suo interno. L’inchiesta giornalistica prova a fornire elementi a un sospetto sollevato dall’inizio del dramma. La vera destinazione del carico di nitrato di ammonio sarebbe stata la Siria, sostiene il giornalista libanese Feras Hatoum, che denuncia la connessione tra le società satellite di Savaro e George Haswani, imprenditore vicino al regime di Assad, e i fratelli Imad e Mudalal Khouri, descritti come agenti di collegamento tra il governo di Damasco e quello di Vladimir Putin.
Bersaglio grosso, forse troppo grosso, e verità sempre più improbabili. La Hesco, compagnia di costruzioni di proprietà di Haswani, ha lo stesso indirizzo londinese della Savaro. Tutte le figure nominate sopra, erano già state sanzionate dagli Stati Uniti (anche qui, fidarsi, non fidarsi?), per appoggio al governo di Assad. Mudalal Khuri era già noto alle cronache per aver negoziato del nitrato di ammonio per conto di Damasco nel 2013, esattamente quando la Rhosus ha attraccato a Beirut.