Erdogan vola da Putin per tenersi un po' di Siria
Erdogan vola da Putin per tenersi un po’ di Siria

Vertice a Sochi dopo il riavvicinamento tra Amman e Damasco e l’escalation di raid aerei russi su Idlib, roccaforte dei jihadisti filo-turchi, segnala NenaNews. Partner e avversari allo stesso tempo, con tante partite internazionali chiave aperte.
La Siria vicina alla riconciliazione con paesi arabi che pure avevano attivamente partecipato alle manovre per abbattere Bashar Assad
. Resta la crisi umanitaria in molte parti del Paese

Amici o nemici per la pelle?

Dubbio che neppure Michele Giorgio si azzarda a risolvere, limitandosi ad un elenco puntiglioso delle vicinanze e della rotture tutt’ora aperte tra la Russia dell’Eterno Putin, e il Sultano della Turchia neo ottomana, anche lui presidente a vita. Tema ufficiale dell’incontro dei due a Sochi, la sorte delle provincia siriana di Idlib in parte occupata dalla Turchia. La Russia, alleata di Assad, stufa delle provocazioni dei jihadisti arruolati dalla Turchia, li sta ora bombardando pesantemente ed Erdogan non è contento. Ma la partire aperte tra Russia e Turchia sono molto altre, compresi gli interessi petroliferi condivisi in casa turca e verso il sud mediterraneo per petrolio dal Caucaso.

Partita strategica complessa

«Partner e avversari allo stesso tempo, i due presidenti avranno in mano anche i file dell’Afghanistan, della Libia, della posizione turca sull’Ucraina – all’Onu Erdogan ha reiterato il suo rifiuto dell’annessione della Crimea da parte della Russia – e delle ulteriori batterie antiaeree S 400 russe che la Turchia, ancora parte della Nato, intende acquisire incurante degli avvertimenti minacciosi degli Stati uniti». A spingere per mantenere il canale di confronto aperto tra Mosca e Ankara, il completo fallimento del recente incontro del leader turco con Joe Biden e il secco no degli Stati uniti alla fornitura ad Ankara dei caccia F-35. E il permaloso Erdogan ha subito deciso l’acquisto di altre batterie S 400.

Questione Siria con gli Usa fuori partita

Il tema centrale comunque sarà la Siria, hanno ribadito le due parti. La visita qualche giorno fa a Mosca del presidente siriano Bashar Assad a Mosca i raid aerei russi e governativi siriani contro postazioni di milizie jihadiste sostenute da Ankara nelle zone di Idlib, Afrin, segnale preciso per Ankara. Verso la fine della frantumazione territoriale siriana il segnale, e la necessaria revisione della tregua negoziata nel 2020. Erdogan che prova a spiegare l’intervento militare turco in Siria, lungo tutto il confine dal Mediterraneo al fiume Tigri, come una «safe zone». Area rifugio per chi ormai? Oggi che le formazioni armate jihadiste della zona sono spesso mercenari operativi altrove.

Scenari mediorientali cambiati

Per Mosca e Damasco, è proprio il sostegno turco alle formazioni jihadiste ancora annidate a Idlib tra quattro milioni di civili usati come scudi umani, a imporre i bombardamenti aerei e i tiri di artiglieria. «Ankara invece tace sugli attacchi contro i curdi compiuti in gran parte proprio dai mercenari siriani che finanzia e arma e che non ha esitato a impiegare in altri teatri di guerra, come la Libia e il conflitto tra azeri e armeni», sottolinea il manifesto. Il quotidiano giordano Al Dostour ha previsto che Erdogan, di fronte al quadro mediorientale in fermento, sarà presto obbligato a rivedere la sua ostilità nei confronti di Assad e a limitare il sostegno ai gruppi armati jihadisti.

Siria non più isolata nel mondo arabo

«La Siria vicina alla riconciliazione con paesi arabi che pure avevano attivamente partecipato alle manovre per abbattere Bashar Assad», sottolinea Michele Giorgio. Damasco nelle ultime settimane ha ristabilito relazioni e firmato accordi con la confinante Giordania. Riapertura dei collegamenti aerei diretti dopo nove anni di sospensione. Sarà anche ripristinato il collegamento elettrico giordano-siriano, con tecnici del regno hashemita a riparare la rete elettrica danneggiata in Siria. Poi commercio, agricoltura, risorse idriche e trasporti. Damasco contro il ‘Caesar Act’, le sanzioni statunitensi che stanno strangolando l’economia siriana ma con pesanti ricadute anche sul disperato Libano.

Rientro di Damasco nella Lega araba?

Visite segrete a Damasco di delegazioni di alcuni paesi della regione, secondo una parte della stampa locale anticiperebbero il rientro della Siria nella Lega araba da cui fu estromessa dopo il 2011 per volontà di Arabia saudita e di altre petromonarchie filo statunitensi. Indicativo l’incontro, a margine dell’Assemblea Onu, tra il ministro degli esteri siriano Faisal Meqdad e l’omologo egiziano Sameh Shoukry. Meqdad ieri ha chiesto che la Turchia e gli Stati uniti ritirino immediatamente le loro forze militari ancora in territorio siriano. Sul rientro dei milioni di profughi siriani, Damasco si dice pronta ma è l’Onu ad opporsi –«si sussurra su pressione degli Usa e dell’Ue»– per la situazione del paese non ancora sicura.

Crisi umanitaria permanente

L’escalation militare ha provocato un aggravamento della già allarmante situazione umanitaria. Secondo l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite, nel solo mese di luglio sono stati uccisi nei bombardamenti 42 civili, tra cui 27 bambini, mentre 89 sono rimasti feriti. A causa di questa nuova ondata di attacchi, anche la situazione relativa ai civili sfollati si è ulteriormente deteriorata, con oltre 43.000 sfollamenti nel solo giugno, la cifra più elevata dal marzo 2020, il cessate-il-fuoco turco-russo. Attualmente, vi sono complessivamente 2,8 milioni di sfollati nel nord-ovest della Siria. Attacchi segnalati anche fuori della zona di Idlib. Quelli più gravi, segnala ISPI, il bombardamento di un ospedale ad Afrin.

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