All’origine di questo nuovo fattore di crisi, c’è l’esplosione del prezzo del metano siberiano, ma non solo di quello. Problema del gas che ci vende Putin, ed ecco che il discorso che non più è solo economico, ma che soprattutto politico e, se volete, anche strategico. Tutti i principali governi del Vecchio Continente hanno già messo le mani avanti, preannunciando ai loro cittadini bollette elettriche “monstre”.
Col gas liquido di Putin e non solo, si fanno funzionare le centrali che producono una buona parte dell’energia elettrica. Quella che arriva nelle case e, soprattutto, quella che alimenta le fabbriche. Insomma, gli aumenti si ripercuoteranno, a catena, su qualsiasi prodotto. Ogni bene di consumo, infatti, soprattutto quelli di tipo “durevole”, contiene una quota di costo di produzione fatta da “energia”, che concorre alla determinazione del prezzo finale. Più alto sarà l’impatto dell’aumento un costo dell’energia sul bene prodotto e in misura proporzionale si alzerà il prezzo. Insomma, il consumatore pagherà di più.
Come mai il vento è girato così clamorosamente? Semplice, perché Putin guadagna di più vendendo il suo gas in Asia, dove stanno comprando di tutto: pipelines, serbatoi di stoccaggio, taniche e fialette. Per dare un’idea, bisogna tenere presente che, solo dall’inizio dell’anno, il prezzo all’ingrosso del gas è aumentato di ben il 250%. Mentre, nel solo mese di agosto, il rincaro ha toccato cifre record del 70%. Inutile dirlo, per le economie già provate dalla pandemia è allarme rosso. I governi tremano e temono che una vera “epidemia”, questa volta da carenza di energia, possa sconvolgere i sistemi produttivi.
E già divampano le polemiche. Sotto accusa, ad esempio, la tassazione che consente l’utilizzo di anidride carbonica in alcuni processi produttivi, pagando fior di quattrini, come indennità ‘ambientale’. La CO2 viene ritenuta ancora indispensabile nell’industria agroalimentare, per la conservazione dei cibi e, addirittura, per il raffreddamento delle centrali nucleari (nel Regno Unito).
La transizione verso le energie rinnovabili dev’essere fatta. Ma est modus in rebus, l’antico problema della misura nella cose. Realizzarla tutta in una volta, dicono i critici, farà crollare il vecchio sistema energetico, di schianto, senza che ce ne sia uno nuovo ancora pronto. Intanto l’Europa corre ai ripari e i governi raschiano il fondo del barile con i sussidi, per cercare di alleviare le bollette dei cittadini. L’Italia per questo spenderà circa 3 miliardi di euro. Ma è solo una pezza, che non servirà a coprire un buco che si allarga ogni giorno che passa. Abbiamo già detto che la crisi dei prezzi potrebbe trasferirsi presto dall’elettricità a tutti i comparti dell’economia.
Nel frattempo, già infuriano le polemiche, non tanto sugli obiettivi (alle “rinnovabili” pensano tutti), quanto piuttosto sui tempi e sulle strategie. In molti ritengono, ad esempio, che gran parte dell’inquinamento da CO2 non sia solo attribuibile al mondo occidentale. I maggiori indiziati, invece, sono la Cina, l’India e diversi altri Paesi asiatici. Comprese molte realtà del Terzo mondo, cui abitanti sono costretti a bruciare il fossile per recuperare un po’ di energia.
Tornando a Putin, tiriamo a indovinare: se l’Europa gli farà inaugurare il gasdotto “Nord stream2”, scommettiamo che abbasserà i prezzi?