Crisi ‘Evergrande’ problema non solo cinese: processo al capitalismo finanziario d’azzardo

«La locomotiva economica cinese arranca? Diciamo che procede a sbalzi, anche se il Pil (+8%) è più che ok», la premessa di Piero Orteca. La versione in salsa pechinese del capitalismo finanziario allegro, però, perde colpi (e fa danni), amplificati dalla spinta di un intero popolo di arricchirsi, per far diventare la Cina una sorta di “America dell’Asia”. Perché la cosa ci riguarda.

La classica buccia di banana

La classica, storica e scivolosissima vecchia buccia di banana, che ha già affossato fior di sistemi: quando, nei periodi di boom, fai il passo più lungo della gamba, e tendi a sbilanciare impieghi e riserve di liquidità. I risparmiatori ti affidano un mare di soldi e tu svuoti i cassetti, per realizzare mille progetti ambiziosi. Ma se si diffondono le voci di una crisi e qualcuno vuol indietro i suoi denari, tu non glieli puoi dare, perché li hai spesi per fare altro. Così come le cose  girano male, se le abitazioni che hai venduto restano solo sulla carta. Il passaparola completerà l’opera: i risparmiatori assedieranno gli uffici della società e metteranno sottosopra gli sportelli.

Dalla teoria alla pratica

Passiamo ora, dalla teoria alla pratica, e facciamo un esempio, che tiene banco in questi giorni. “Evergrande”, mega-gruppo imprenditoriale del Paese asiatico, capiamo perché, in molti, pensano che nonostante le sue magagne debitorie, sia “too big too fail”, troppo grosso per fallire. Ma la situazione non è proprio entusiasmante e nemmeno tanto cristallina. Anzi, puzza di bruciato, dato che il governo cinese ha fatto capire che in caso di “macelleria finanziaria” non interverrà. Insomma, se sarà fallimento, ognuno piangerà i suoi morti e Xi Jinping userà la catastrofe di “Evergrande” come monito per tutti gli imprenditori d’assalto.

Rischio ‘crash and panicking’

Per ora, la Banca centrale cinese sta solo immettendo liquidità nel sistema per parare i contraccolpi. Ma nessuno parla di interventi diretti. “Evergrande” si porta dietro una montagna di 300 miliardi di dollari di debiti, massa monetaria tale da mettere sottosopra gli ‘assett finanziari’ cinesi. E non solo quelli. Facendo gli scongiuri, si potrebbe anche scatenare, a effetto-domino, (ma solo in linea molto teorica) un’ondata di “crash and panicking, capace di turbare i mercati internazionali.

Crisi di liquidità

Il problema? Semplice (e drammatico): crisi di liquidità. E quando ti trovi in situazioni di questo tipo, hai voglia di fare “cosmesi contabile”, perché quello che conta è la “solvibilità”. Per dirla chiaramente, i soldi pronta cassa. Investimenti faraonici (sulla carta), progetti di sviluppo “futuribili” e supponenti intenzioni di strapotere industriale, si liquefanno non appena i creditori  e i fornitori, come abbiamo già sottolineato, assediano gli sportelli e vogliono indietro i loro soldi. Brutale, ma elementare.

Immobiliare d’azzardo

Quello che sembra entrato maggiormente in crisi è proprio il ramo immobiliare di “Evergrande”, un gigante fondato nel 1996 (si chiamava Hengda Group”), a Guangzhou, dall’uomo d’affari Hui Ka Yan. Le azioni della società, nel solo 2021, hanno perso in Borsa intorno all’80%. Mercoledì scorso, a Hong Kong, è stato raggiunto un accordo per saldare gli interessi con i creditori nazionali (obbligazione totale di 34,9 milioni di dollari). Ciò ha calmierato un po’ il titolo e le Borse asiatiche. Mentre ieri doveva essere discussa un’intesa con i creditori stranieri  (interessi per 83,5 milioni di dollari). Un passaggio fondamentale per il sistema-Paese Cina.

Xi e il Partito Stato

Molti esponenti autorevoli del Partito comunista, oltre allo stesso Xi, ritengono che la politica del “laissez-faire” concessa a molti imprenditori d’assalto, abbia squilibrato il capitalismo di Stato cinese. Troppo capitalismo e poco Stato, insomma. Col rischio di trovarsi di fronte ad altre bolle speculative, del tipo di “Evergrande”. La diffusione a macchia di leopardo del capitalismo “rampante”, favorisce una veloce accumulazione e crea “poli di sviluppo finanziari” ma non produttivi. Ecco spiegato il giro di vite che il governo ha dato alla disciplina che regola molte attività produttive e finanziarie. Riportandole, in qualche modo, sotto suo il controllo, diretto o indiretto.

Meno privato più pubblico

Meno investimenti privati, però, non vorrà dire meno sviluppo. Mercoledì scorso Partito e Governo hanno lanciato un ambiziosissimo piano di infrastrutture telematiche, energetiche e trasportistiche. Si investirà massicciamente in questi settori, che dovranno rappresentare l’ossatura su cui crescerà la prima economia del pianeta. Secondo gli analisti, però, esiste anche un problema di redistribuzione della ricchezza prodotta.

Troppe disparità nella qualità della vita dei lavoratori, stridono col messaggio politico e con la stessa visione sociale del Partito comunista cinese. Nel tipo di modello ideale proposto da Xi Jinping, invece, efficienza ed uguaglianza possono e devono coesistere.

Tags: Cina economia
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