
Passiamo ora, dalla teoria alla pratica, e facciamo un esempio, che tiene banco in questi giorni. “Evergrande”, mega-gruppo imprenditoriale del Paese asiatico, capiamo perché, in molti, pensano che nonostante le sue magagne debitorie, sia “too big too fail”, troppo grosso per fallire. Ma la situazione non è proprio entusiasmante e nemmeno tanto cristallina. Anzi, puzza di bruciato, dato che il governo cinese ha fatto capire che in caso di “macelleria finanziaria” non interverrà. Insomma, se sarà fallimento, ognuno piangerà i suoi morti e Xi Jinping userà la catastrofe di “Evergrande” come monito per tutti gli imprenditori d’assalto.
Per ora, la Banca centrale cinese sta solo immettendo liquidità nel sistema per parare i contraccolpi. Ma nessuno parla di interventi diretti. “Evergrande” si porta dietro una montagna di 300 miliardi di dollari di debiti, massa monetaria tale da mettere sottosopra gli ‘assett finanziari’ cinesi. E non solo quelli. Facendo gli scongiuri, si potrebbe anche scatenare, a effetto-domino, (ma solo in linea molto teorica) un’ondata di “crash and panicking, capace di turbare i mercati internazionali.
Il problema? Semplice (e drammatico): crisi di liquidità. E quando ti trovi in situazioni di questo tipo, hai voglia di fare “cosmesi contabile”, perché quello che conta è la “solvibilità”. Per dirla chiaramente, i soldi pronta cassa. Investimenti faraonici (sulla carta), progetti di sviluppo “futuribili” e supponenti intenzioni di strapotere industriale, si liquefanno non appena i creditori e i fornitori, come abbiamo già sottolineato, assediano gli sportelli e vogliono indietro i loro soldi. Brutale, ma elementare.
Quello che sembra entrato maggiormente in crisi è proprio il ramo immobiliare di “Evergrande”, un gigante fondato nel 1996 (si chiamava Hengda Group”), a Guangzhou, dall’uomo d’affari Hui Ka Yan. Le azioni della società, nel solo 2021, hanno perso in Borsa intorno all’80%. Mercoledì scorso, a Hong Kong, è stato raggiunto un accordo per saldare gli interessi con i creditori nazionali (obbligazione totale di 34,9 milioni di dollari). Ciò ha calmierato un po’ il titolo e le Borse asiatiche. Mentre ieri doveva essere discussa un’intesa con i creditori stranieri (interessi per 83,5 milioni di dollari). Un passaggio fondamentale per il sistema-Paese Cina.
Molti esponenti autorevoli del Partito comunista, oltre allo stesso Xi, ritengono che la politica del “laissez-faire” concessa a molti imprenditori d’assalto, abbia squilibrato il capitalismo di Stato cinese. Troppo capitalismo e poco Stato, insomma. Col rischio di trovarsi di fronte ad altre bolle speculative, del tipo di “Evergrande”. La diffusione a macchia di leopardo del capitalismo “rampante”, favorisce una veloce accumulazione e crea “poli di sviluppo finanziari” ma non produttivi. Ecco spiegato il giro di vite che il governo ha dato alla disciplina che regola molte attività produttive e finanziarie. Riportandole, in qualche modo, sotto suo il controllo, diretto o indiretto.
Troppe disparità nella qualità della vita dei lavoratori, stridono col messaggio politico e con la stessa visione sociale del Partito comunista cinese. Nel tipo di modello ideale proposto da Xi Jinping, invece, efficienza ed uguaglianza possono e devono coesistere.