Khalifa Haftar, pausa da generale per candidarsi presidente. A Tripoli il Parlamento sfiducia il governo

Khalifa Haftar ha annunciato di essersi dimesso –ma solo per tre mesi- dal ruolo di comandante dell’autonominato Esercito nazionale libico, molto probabilmente per candidarsi alle elezioni presidenziali che sono state fissate per il prossimo 24 dicembre.
Elezioni fissate lo scorso agosto dal governo di transizione guidato da Abdul Hamid Dbeibah. Il quale è stato intanto sfiduciato dal parlamento a Tripoli.

Il premier dal governo di transizione libico Abdul Hamid Dbeibah

Caos Libia, di nuovo e di più

Le elezioni per il prossimo parlamento libico di espressione popolare e il suo futuro governo di unità nazionale che ne deriverà, fissate per la vigilia del nostro prossimo Natale, erano state fissate lo scorso agosto dal governo di transizione guidato da Abdul Hamid Dbeibah. Il quale Dbeibah è stato intanto sfiduciato dal parlamento. Su 113 deputati presenti, 89 hanno votato contro l’esecutivo che deve traghettare il paese alle elezioni del 24 dicembre. Il Consiglio supremo dello Stato, uno degli organi della giungla istituzionale libica, ha già dichiarato non valida la mozione di sfiducia.

Nessuno rinuncia a nulla

Il governo provvisorio ora contestato aveva anche approvato una riforma elettorale che prevedeva tra le altre cose che chiunque volesse candidarsi avrebbe dovuto dimettersi da ogni carica politica o militare entro tre mesi dalla data del voto. Ed ecco la mossa del generale libico-americano della Cirenaica: Haftar non ha esplicitamente detto che si candiderà, ma il fatto che le sue dimissioni scadano proprio il giorno delle elezioni dimostra la sua volontà di partecipare alle elezioni.

Data l’instabilità politica della Libia negli ultimi anni, non si può dire con certezza che le elezioni alla fine si terranno. Lo stesso Haftar nelle scorse settimane aveva più volte chiesto che venissero posticipate.

Il generale sempre perdente

Per diversi anni Haftar aveva controllato gran parte della Libia orientale, ma dal giugno del 2020, in seguito al fallimento del suo tentativo di conquistare Tripoli e imporre il suo potere su tutta la Libia, il suo potere si era decisamente ridimensionato. La sconfitta aveva inoltre contribuito alla creazione del nuovo governo di Debeibeh, grazie a negoziati mediati dall’ONU, che aveva sostituito i due governi che si erano divisi il controllo della Libia negli ultimi anni.

Incontenibili bramosie di potere

Secondo Arturo Varvelli, direttore dello European Council on Foreign Relations a Roma, un think-tank specializzato in affari internazionali interpellato dall’HuffPost, «La transizione politica in Libia ricorda Game of Thrones. Tutti contro tutti, sempre pronti a delegittimarsi a vicenda, incapaci di mollare l’osso del proprio potere in favore di un bene comune». La transizione libica, in realtà, dura da dieci anni, quando cadde il quarantennale regime di Muammar Gheddafi. Dal 2011, l’anno delle primavere arabe, il paese è spaccato in più fazioni. «La situazione è simile a quella di altri ‘stati falliti’, come la Somalia».

Elezioni, ma chi perde poi s’ingrugna

Le non certe elezioni di dicembre e l’improbabile riconciliazione nazionale. Previsione facile, che chi perderà denuncerà il risultato mettendo in dubbio la legittimità del vincitore. Chi c’è dietro la manovra di palazzo che ha sfiduciato Dbeibah? «Difficile dirlo –spiega Varvelli- Può essere stato l’influente presidente del parlamento Saleh, in accordo con il generale Haftar, ancora uomo forte nella zona orientale del paese. Entrambi non sono entusiasti dello spostamento del baricentro di questo governo verso ovest, verso la Tripolitania, dominata invece dall’influenza dei turchi».

Dall’ISPI

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