
Molti analisti rifiutano di comprendere che un’eventuale crisi economica e finanziaria della Repubblica Popolare Cinese avrebbe effetti deleteri – per non dire catastrofici – nel mondo intero. Non è difficile capire il perché.
Proprio per questo sta destando grande preoccupazione la crisi (che appare strutturale) del colosso cinese delle costruzioni “Evergrande”. Per capirci, stiamo parlando di un’azienda gigantesca. 200.000 dipendenti che, con l’indotto, salgono a 3,8 milioni.
Si dà tuttavia il caso che “Evergrande” abbia anche 305 miliardi di dollari di debiti che, attualmente, non sa come ripagare. Ha 1300 progetti edilizi sparsi in 280 città cinesi.
Il problema è che un alto numero di famiglie ha comperato, e già pagato, appartamenti che, però, non esistono perché mai costruiti. Si è quindi scatenata una violenta protesta dei cittadini sui social network.
Ma molti acquirenti delusi non hanno esitato a scendere in piazza per protestare fisicamente contro l’azienda e le autorità, colpevoli a loro avviso di non aver saputo controllare con attenzione le attività e i bilanci del colosso immobiliare.
E questa, dal punto di vista cinese, è una grande novità. Nella Repubblica Popolare, infatti, le manifestazioni pubbliche sono severamente vietate, tranne quelle autorizzate dal Partito comunista. Tutti rammentano come sono state stroncate le dimostrazioni degli abitanti di Hong Kong (che avevano, tuttavia, motivazioni diverse).
Gli acquirenti delle case inesistenti pretendono, giustamente, di recuperare le somme investite. Ed è difficile che ciò accada, visto il pesante indebitamento di un colosso che per decenni ha dominato il mercato immobiliare cinese.
A ciò va aggiunto un malcontento di segno diverso. Le autorità della Repubblica Popolare si sono più volte vantate di essere riuscite a sconfiggere in modo definitivo la pandemia dovuta al coronavirus.
Si tratta però di una “fake news” diffusa per motivi propagandistici. In realtà focolai più o meno grandi continuano a manifestarsi. Lo si è visto alcune settimane orsono quando il grande porto di Ningbo nello Zhejiang, il terzo scalo merci più grande della Cina e base fondamentale dell’export globale che la Repubblica Popolare conduce da decenni, si è improvvisamente bloccato proprio a causa della scoperta di nuovi focolai del virus.
Tornando al caso di “Evergrande”, l’opacità del sistema informativo cinese non ha finora consentito di capire come Xi Jinping e il suo gruppo dirigente intendano affrontare il problema.
La politica neo-maoista di Xi, gli attacchi sempre più virulenti ai “tycoons” come Jack Ma, il fondatore di “Alibaba” ora emarginato, e il nuovo statalismo promosso dal Partito, indurrebbero a credere che il governo interverrà con una ristrutturazione del debito di “Evergrande”.
Si tratterebbe però di un’operazione “sanguinosa” dal punto di vista finanziario, i cui costi ricadrebbero inevitabilmente sulle spalle dei contribuenti. L’alternativa è lasciare che il colosso immobiliare fallisca, adottando la stessa strategia utilizzata negli Usa nel celebre caso del crac di “Lehman Brothers” nel 2008.
Si tratta di capire se Xi Jinping, che intende farsi eleggere “presidente a vita”, può permettersi una simile via d’uscita. Chi scrive non lo crede. In fondo la Repubblica Popolare ha continuato a prosperare grazie a una sorta di “patto sociale” che promette ai cittadini una crescita continua in cambio della rinuncia ad alcune libertà fondamentali, e tale soluzione segnerebbe la fine del patto di cui sopra.