
L’«anglosfera», il patto Aukus Usa-Gran Bretagna-Australia, ha sollevato le ire della Cina e colpito duro la Francia che ha ritirato i suoi ambasciatori a Washington e Canberra. I francesi dicono di essere stati tenuti all’oscuro della cancellazione della fornitura da 56 miliardi di euro di sommergibili nucleari del Naval Gorup ma in realtà c’era già stato un campanello d’allarme perché all’inizio dell’estate anche gli italiani era stati fregati alla grande dagli australiani.
E proprio sulla maxi-fornitura di fregate Fremm alla marina australiana della statale Fincantieri, un progetto di cui sono partner anche i francesi di Naval Group. Insomma la fregatura è doppia. Una storia interessante – taciuta dai media nazionali perché le fregature non piacciono a nessuno – che rivela qual è il livello di competizione tra gli europei e il complesso militar-industriale dell’«anglosfera» che con il patto Aukus – la Nato del Pacifico – lanciato da Biden-Johnson-Morrison vuole mettere alle corde la Cina.
La commessa è stata vinta dall’inglese Bae Systems, superando altri due concorrenti, la Fincantieri e la spagnola Novantia. Si è trattato di una scelta politica più che tecnica e per questo ancora più bruciante. Dal confronto fra la proposta vincitrice e quella italiana è emerso soprattutto un aspetto: le fregate inglesi sono ancora in fase di progettazione e saranno disponibili solo al termine del prossimo decennio, mentre le fregate italiane sono già operative e sperimentate, cosa che avrebbe permesso agli australiani di avere le prime navi in pochi anni.
Gli australiani, quindi, hanno scommesso su una nave valida sulla carta, invece che su una che si è già dimostrata efficace. Una decisione che non può essere giustificata sul piano tecnico e operativo.
Le Fremm italo-francesi – sottolinea lo Iai, l’Istituto affari internazionali – sono le più avanzate unità in servizio nel mondo. Non solo, la Fincantieri aveva previsto investimenti diretti in Australia per la costruzione delle navi e un ampio coinvolgimento dei fornitori locali. Pur di vincere questa commessa il sistema-Paese si era speso come non mai. Era stata organizzata una specifica crociera di una Fremm della marina e la visita in Australia di una delegazione governativa – militare, diplomatica e industriale – culminata con l’arrivo del ministro della difesa e poi di quello degli esteri.
Tra diplomatici, militari e industriali italiani è sorta, dietro le quinte, una discussione vivace e avvelenata per l’usuale rimpallo delle responsabilità, seguita da un assordante silenzio per non amplificare troppo l’insuccesso. Sopire e troncare, troncare e sopire… in puro stile manzoniano. Una scelta anche ovvia, visto che queste fregate Fremm, che abbiamo già venduto all’Egitto di al-Sisi e al Qatar, Fincantieri vorrebbe piazzarle anche all’Arabia saudita e al Marocco.
L’area di espansione e influenza del complesso militar-industriale europeo (e non solo), secondo i piani dell’«anglosfera» dovrebbe limitarsi, tranne qualche eccezione, al Mediterraneo, al Golfo e all’Africa, ma non al Pacifico che è il quadrante strategico di elezione degli Usa.
Questo è uno dei messaggi che arrivano con il patto Aukus. E proprio nel momento in cui l’Unione europea giovedì ha lanciato una nuova strategia nell’Indo-Pacifico, il primo tassello di un progetto chiamato Global Gateway con il quale i Ventisette vogliono firmare accordi internazionali, che vadano ben oltre il commercio, in campo industriale, digitale, della connettività e, guarda caso, nella «sicurezza marittima».
«La coltellata alla schiena» di cui parla il ministro degli esteri francese Le Drian a proposito del patto Aukus è l’inizio di una grande partita geopolitica che da una parte ha come obiettivo quello di esercitare pressioni sulla Cina ma dall’altro ha pure quello di ridefinire le aree di espansione militare ed economica in un mondo che investe l’Eurasia e il Pacifico.