Dominio nell’Indo-Pacifico: flotte, scontri e pirateria, da Sandokan a Biden

Nell’ultimo decennio l’attenzione dei paesi occidentali si è concentrata sulla geopolitica dell’oceano Pacifico: in realtà la lotta per l’egemonia sull’Indo-pacifico è molto più antica e non ha coinvolto solo flotte da guerra, ma anche – come si direbbe oggi – ‘forze non convenzionali’, come ad esempio i pirati.

Da Limes

Quando nacque il giapponese «vento divino»

Alla morte di Gengis Kahn, all’incirca intorno all’anno 1260 del mondo occidentale, il nipote Kublai salito al trono inviò una sorta di ultimatum al Giappone intimando il riconoscimento del proprio potere. Non era solo una questione di sovranità, perché – oltre alla sottomissione – c’era di mezzo anche  il versamento di un pesante tributo annuale all’impero cinese.  In Giappone non esisteva un potere centrale, o meglio non poteva essere esercitato perché la corte imperiale era in lotta con i signori locali, i famosi shogun. Per questo all’inizio non fu dato peso all’ultimatum cinese, o più semplicemente i giapponesi pensarono che quegli stranieri un po’ barbari non ne fossero capaci.  Kublai raccolse allora quasi mille navi che partirono dalla Corea: sulle prime sembrò che avesse il sopravvento, ma un furioso uragano disperse e distrusse la flotta. Per i giapponesi l’uragano divenne invece il «vento divino» e ciò significò anche nell’immaginario collettivo di godere del favore degli dei e di essere diventati praticamente invincibili. I cinesi per secoli non riuscirono ad allestire più una grande flotta, ne si fecero più tentare dal dominio del mare. Quando alla fine della II Guerra mondiale i giapponesi furono sul punto di essere invasi dal mare da una flotta molto più potente di quella di Kublai, ricomparve l’immagine del «vento divino»: centinaia di piloti suicidi – ‘kami-kaze’ significa appunto «vento divino» – tentarono invano di rovesciare le sorti del conflitto.

 Le colonie  europee e i pirati

A partire dalla scoperta dell’America e dall’apertura delle grandi rotte oceaniche, numerose potenze europee finirono per impossessarsi di ampi territori non solo nelle Americhe o in Africa, ma anche in Asia e nell’oceano Pacifico. Tra i più attivi all’inizio vi furono spagnoli e portoghesi, ma ben presto arrivarono anche olandesi e inglesi che spesso combatterono nei mari lontani le stesse guerre combattute in Europa. Le Filippine furono colonizzate dagli spagnoli a partire dal 1565, ma più interessante è vicenda della colonia portoghese di Macao. Attaccato da pirati cinesi il governatore di Canton si vide costretto a chiedere aiuto ai portoghesi, nonostante poco prima ne avesse respinto una piccola flotta che risaliva il fiume. In cambio dell’aiuto militare fu concesso ai portoghesi nel 1557 il lembo di territorio che sarebbe diventato Macao, con la promessa tuttavia di continuare a difendere Canton dai pirati. Gli olandesi invece costituirono colonie a partire dal XVII secolo, ma poi arrivarono gli inglesi, o meglio la Compagnia delle Indie e soprattutto la Royal Navy. Per tutto l’Ottocento si verificarono atti di pirateria sulle rotte dei mercantili occidentali che ispirarono le epiche gesta di Sandokan nelle pagine dei romanzi di Salgari. In realtà la pirateria fu poi duramente repressa, soprattutto dopo che le colonie inglesi passarono dalla Compagnia delle Indie direttamente all’impero britannico. La Royal Navy per mare e l’esercito inglese in India garantirono in breve la sicurezza e la regolarità dei commerci e, pochi pirati a parte, non esisteva una nazione asiatica che da sola si opponesse all’egemonia occidentale.

Il XX secolo

Le cose si complicarono nel XX secolo, soprattutto dopo che sul Pacifico si affacciarono gli Stati Uniti. Dopo la guerra di Cuba l’isola, assieme a Porto Rico, le Filippine e l’isola di Guam, non fece più parte dell’impero spagnolo e vi si insediarono gli americani, che – non soddisfatti – pensarono anche di tagliare l’istmo di Panama per farvi passare in caso di necessità le navi della flotta atlantica. Era comparso insomma un nuovo concorrente al quale – dopo la guerra russo-giapponese del 1904 – se ne affiancò un secondo: il Giappone infatti, grazie anche all’appoggio inglese, aveva sconfitto la flotta russa nella battaglia di Tsushima.  Per la prima volta un paese asiatico umiliava una potenza europea, ma soprattutto si trattava di un paese che avrebbe esercitato una propria influenza sulla costa orientale della Siberia e che si sarebbe spinto anche più a sud lungo la costa cinese.  A caro prezzo l’impero britannico vinse la Prima Guerra mondiale e continuò a garantire gli equilibri indo-pacifici, ma a partire dagli anni Trenta l’atteggiamento giapponese cambiò e dopo l’occupazione di parte della Cina si trovò in conflitto con gli Stati Uniti, un conflitto che sarebbe esploso il 7 dicembre 1941. Paradossalmente il Giappone duramente sconfitto divenne il più fedele alleato degli Stati Uniti e collaborò al mantenimento degli equilibri. Una collaborazione che però oggi non sembra più sufficiente.  

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