
Più che una previsione, per ora è una forte possibilità, anche dalla cronaca di Sabato Angieri sul Manifesto. «Le elezioni del 2022 in Ungheria potrebbero porre fine a un’era. Non è escluso infatti che Fidesz, il partito dell’attuale primo ministro Viktor Orbán in carica dal 2010, alla fine perda». Contro di lui, per la prima volta, una coalizione che comprende i sei maggiori partiti dell’opposizione, dalla nuova sinistra ecologista e liberale a Jobbik, partito di destra che fino al 2016 denunciava il complotto massonico-giudaico sull’Ungheria, bruciava le bandiere europee in piazza e inneggiava alla difesa della razza. Ma persino per loro, alla fine, Orban si è rivelato troppo.
Oggi primo turno delle primarie per designare il candidato premier che sfiderà Orbán: per ora i due favoriti sono l’attuale sindaco di Budapest, il progressista Gergely Karácsony e il capo di Jobbik Gábor Vona.
Quanto può tenere una coalizione così? «I diretti interessati assicurano che c’è unità di intenti sul programma di governo e che il loro è stato un gesto di responsabilità verso il Paese». L’impressione -il timore- è che questa volta la scelta fosse tra allearsi o sparire definitivamente. «Infatti, a differenza dei suoi avversari, il capo di Fidesz potrebbe vincere da solo o, come affermano alcuni analisti, potrebbe approfittare della sconfitta per tornare da salvatore della patria quando la coalizione d’opposizione imploderà».
«Più che un primo ministro oggi Orbán è il re dell’Ungheria e ha creato un sistema neo-feudale che gli garantisce il controllo capillare di quasi ogni aspetto della vita quotidiana del Paese». Due le armi principali usate con spregiudicatezza spesso feroce: il controllo dei media e le riforme costituzionali. Stampa di regime dal 2010 con la legge che consegnava al governo direttamente o indirettamente l’80% dei canali di informazione. Poi la nuova legge elettorale del 2012, cucita addosso al suo partito e che da 11 anni assicura a Fidesz più dei due terzi dei seggi nell’Assemblea Nazionale consentendogli di approvare riforme costituzionali senza bisogno di alleanze.
Sul fronte internazionale la solida alleanza con i costruttori di auto tedeschi. Il gruppo Volkswagen in particolare, assicura al primo ministro magiaro un appoggio strategico fondamentale, tra il 9,5 e il 13,5% del Pil nazionale annuo.
Va assieme detto che i giornali tedeschi sono stati i suoi più attivi detrattori, con picchi durante la crisi migratoria del 2015 e questa primavera contro la legge anti-lgbtq. La stessa cancelliera Angela Merkel non ha mai lesinato le critiche al suo vicino, soprattutto sui migranti e sugli Eurobond ma, nonostante tutto, i rapporti commerciali tra i due stati sono rimasti costanti e consistenti.
Sui media ungheresi gli attacchi della stampa estera sono (quasi) un motivo di vanto. «La propaganda è massiccia e incessante e c’è sempre un nemico in agguato. All’inizio erano i socialisti, poi i migranti, la lobby lgbtq, i rom, l’Unione europea. Senza contare l’anti-semitismo della classe dirigente che imputa a George Soros tutte le teorie complottiste possibili».
Il nuovo nemico interno. Nel paese c’è la comunità più antica e popolosa d’Europa, vive ghettizzata, a volte impiegata in lavori sociali con compenso minimo, insiste ancora Sabato Angieri. L’Ungheria ha la più alta percentuale di popolazione di origine rom tra gli stati europei e una delle più antiche. Poi la trovata geniale del governo in carica di istituire i “lavoratori sociali” a tagliare l’erba nei parchi pubblici o altri lavoretti simili per un massimo di 200 euro al mese.
I vantaggi per i politici sono molteplici: si risparmiano soldi per gli stipendi dei lavoratori qualificati, si utilizza l’iscrizione alle liste come leva per il voto di scambio (tant’è che molte comunità rom votano per Fidesz).