
Il vertice organizzato dal presidente Usa. Gli Stati Uniti contano di ridurre le emissioni di Co2 del 50-52 per cento entro il 2030, contro il 55 per cento che è l’obiettivo europeo. Lo sconto in casa, ma soprattutto, ‘chi si fida è perduto’. Ma oggi il punto non è solo questo. Il clima è in cima ai dossier più urgenti da definire, anche in vista della Cop26 di novembre in Scozia, che rischia di essere “un fallimento”, ma l’attualità stretta brucia molte buone intenzioni. «Nel mondo non c’è un clima di collaborazione tra le super-potenze che inquinano di più», si allarma il segretario generale dell’Onu Antonio Guterres. Non c’è nemmeno tra Ue e Usa, soprattutto dopo lo sgarbo di ieri da parte di Biden su Aukus e gli ambasciatori francesi richiamati da Washington e Camberra.
E come scrive Pierre Haski su France Inter, «Tutti i protagonisti di questo sisma geopolitico sanno che in gioco non c’è solo il “contratto del secolo”, che i francesi sono evidentemente furiosi di aver perso. Il punto cruciale è lo smottamento strategico che ne deriva e che porta un rischio reale di conflitto».
«Al netto dei non-detti, il clima di diffidenza europea nei confronti di Washington è palpabile. L’affare Aukus arriva a valle di altri ‘sgarbi’, diciamo così», scrive Angela Mauro sull’Huffost. Lo scorso inverno, quando l’Unione smaniava per avere vaccini anti-Covid, Stati Uniti e Gran Bretagna bloccarono l’export di sieri o di componenti per produrli. Poi sono arrivati gli altri contratti con l’americana Pfizer, ma solo quando il programma di vaccinazione negli Usa era a buon punto. A giugno, il vertice Ue-Usa a Bruxelles, con Biden per la prima volta in Europa, celebrato come ‘accordo storico’ che era solo tregua: la sospensione per 5 anni dei dazi imposti da entrambe le sponde dell’Atlantico su prodotti agricoli, alimentari e chimici, in seguito alla querelle Airbus/Boeing.
Ma poco prima della pausa estiva, la presidente della Commissione Europea aveva chiesto a Washington di eliminare le restrizioni anti-covid per i vaccinati europei diretti negli Usa. L’Ue l’aveva già fatto per i turisti americani. Niente, appello caduto nel vuoto, nessuna reciprocità.
«Biden non è Trump, ma su Aukus si è comportato “come Trump”», offende il ministro francese Le Drian. «Gli Stati Uniti hanno confermato gli impegni previsti dai trattati, ma a questo punto dobbiamo renderci conto che Washington valuta i propri interessi strategici in modo più restrittivo», scrive Haski. «Passando dai sottomarini francesi a quelli statunitensi, l’Australia ha scelto di allinearsi con Washington, anche a causa delle minacce dirette di Pechino». Il responsabile della diplomazia europea Josep Borrell dichiara che l’obiettivo europeo è “la cooperazione, non il conflitto” con Pechino. «Non abbastanza agli occhi degli statunitensi, entrati in una logica da guerra fredda».
Gli europei sono pronti a difendere un’autonomia strategica? Questi sono gli interrogativi che la vicenda dei sottomarini ha il merito di evidenziare, a prescindere dalla rabbia francese.
La ritirata precipitosa dall’Afghanistan e favorire la rovinosa caduta di Kabul in una settimana, con gli europei coinvolti, inconsapevoli, nel caos che ha generato. «Fino ad allora avevano vissuto sulla garanzia statunitense che i tempi erano maturi per lasciare l’Afghanistan senza rischi. Solo i tedeschi, a inizio 2021, hanno provato a rallentare i tempi dell’operazione, preoccupati dalle conseguenze», insiste Angela Mauro. Ma gli Usa di Biden hanno confermato le tempistiche previste da Trump: «via da lì perché il baricentro del mondo ora sta da un’altra parte».
L’Indo-Pacifico appunto, nella sua funzione strategica anti-cinese, da qui Aukus con Gran Bretagna – che invierà navi che resteranno nell’area per i prossimi 5 anni – e Australia, cui potranno aggiungersi Singapore, Giappone.
Crogiolo di tensioni e una nuova corsa agli armamenti. Con Usa, Ue, e le altre super-potenze che dovrebbero affrontare insieme il dossier clima. Si allarma anche Mario Draghi. «Con l’accordo di Parigi ci siamo impegnati a contenere il riscaldamento globale entro 1,5 gradi rispetto ai livelli preindustriali. La maggior parte dei nostri paesi ha rinnovato questo impegno nelle recenti riunioni del G20. Stiamo venendo meno a questa promessa. Se continuiamo con le politiche attuali, raggiungeremo quasi 3 gradi di riscaldamento globale entro la fine del secolo con “conseguenze catastrofiche”». E se gli Usa hanno obiettivi meno ambiziosi dell’Ue sulla riduzione dei gas serra, Pechino non ha nemmeno presentato un piano climatico nazionale. Non lo hanno fatto nemmeno India, Turchia, Arabia Saudita.
Cop26 rischia di essere un buco nell’acqua, in un mondo che pare impostato sul conflitto. In questo brutto clima, chissà che fine faranno le trattative tra Ue e Washington che entro fine anno dovrebbero trovare un accordo per eliminare i dazi su acciaio e alluminio decisi da Trump.