
L’Agenzia di stampa Reuters ha rivelato citando diverse fonti diplomatiche che sarebbe vicino un accordo tra Mosca e Bamako che consentirebbe ai contractors russi di operare in Mali, estendendo l’influenza russa sugli affari di sicurezza in Africa Occidentale in aperta rivalità con la Francia, ex potenza coloniale in quella regione. Consolidamento delle relazioni militari in corso da tempo con nuove forniture militari, esempio, elicotteri Mi-35 consegnati recentemente. A fine luglio il Mali aveva firmato anche un accordo di cooperazione militare con la Cina.
Martedì mattina, l’esclusiva di Reuters aveva scatenato l’irritazione della Francia, che ha subito annunciato prese di posizione. E ieri notte il tweet un po’ ‘trumpiano’ di Macron sull’uccisione del leader dello Stato Islamico nel Grande Sahara. Occidente che esce –‘riposizionamento’ delle priorità strategiche dei Paesi europei, Italia compresa-, e la mossa di Mosca e la disponibilità finanziaria di Pechino pronte a subentrare.
«Come già dimostrato in Repubblica Centrafricana e in Siria, la finalità della Russia è essenzialmente una: riempire lo spazio lasciato libero dalle potenze occidentali a fini strategici», commenta Edoardo Baldaro, ricercatore dell’Ispi e esperto di Sahel. Un accordo da 10.8 milioni di dollari al mese, senza però conferma da nessuno dei due eventuali contraenti. «I mille soldati russi andrebbero a rafforzare una presenza che, seppure in misura molto ristretta, in Mali c’è già», continua Baldaro.
Presenza ufficiosa russa con strategia ormai ben nota. «Mosca utilizza una vecchia formula: fornisce armi in cambio di risorse. È già successo in Guinea, poi in Nigeria, dove la Lukoil ha utilizzato il golfo del Niger per le proprie attività estrattive», prosegue Baldaro su ISPI.
La notizia di Reuters ha irritato pesantemente Parigi (ma non si erano accorti di nulla prima?), riferisce La Stampa. Con ministro degli esteri Jean-Yves Le Drian che minaccia di fare a Mosca il favore definitivo: «Questa mossa è incompatibile con la presenza francese sul territorio», ha detto il ministro, salvo poi annunciare un’azione diplomatica per impedire l’accordo con i paramilitari russi.
La marcia di allontanamento dal Mali della Francia di Macron è divenuta chiara lo scorso maggio, quando il governo di Parigi ha temporaneamente interrotto i rapporti militari con il Paese africano, dopo il secondo colpo di Stato nell’arco di pochi mesi.
Il “golpe nel golpe”, come è stato definito, era stato preceduto da un altro rovesciamento da parte dai colonnelli maliani, che il 18 agosto del 2020 avevano costretto alle dimissioni l’allora presidente eletto Ibrahim Boubacar Keita. Inizialmente quella svolta di governo – condotta dai colonnelli Ismaël Wagué e Asimi Goita – aveva addirittura incontrato l’approvazione di Macron, soddisfatto dei rapporti con l’esecutivo di transizione controllato dal Comité National pour le Salut du Peuple istituito dai golpisti.
Ma nei mesi successivi, gli interessi francesi hanno però cominciato a divergere, isolando progressivamente Bamako
‘Operazione Barkhane’, la costosissima ‘War on terror’ in salsa francese, aveva sostanzialmente deluso. Ora la notizia dell’uccisione di Adnan Abou Walid al Sahraoui, il leader del gruppo terroristico Stato islamico nel Grande Sahara, a cercare di salvare il salvabile, almeno e livello di opinione pubblica di casa.
«L’aver comunque impedito il consolidamento delle entità jihadiste presenti sul territorio, non ha fatto di Barkhane un’operazione di successo, specie al netto dell’ingente peso economico della missione, che consuma oltre un terzo del budget allocato dal ministero della Difesa per le missioni all’estero», sottolinea ISPI.
«La notizia dei contractors potrebbe essere un modo per il Mali di lanciare un messaggio alla Francia e alle forze occidentali presenti nel Paese. La Francia in particolare ha approfittato dell’instabilità del governo dei golpisti per dare una scossa al proprio riposizionamento strategico in Africa Occidentale», conclude Baldaro. Le attenzioni francesi si sono quindi spostate.
Task Force Takuba in Niger, Paese chiave nel riorientamento strategico europeo nel Sahel, a cui l’Italia fornisce il secondo contingente per numero di presenze, 200 circa. Venuti meno i già fragili presupposti alla presenza militare nelle basi maliane di Kidal, Tessalit e Timbuctù, a inizio luglio Macron ha annunciato un piano per la chiusura delle basi e un massiccio rientro di militari entro la fine dell’anno.
Altra pericolosa ritirata militare a fini elettorali, senza le esasperate attenzioni afghane ma con conseguenze altrettanto imprevedibili e di vasta portata