Abbiamo visto Angela Merkel avanzare sulle macerie del Muro e attraversare devastanti crisi sociali, politiche e finanziarie che hanno investito la Germania, l’Europa, il mondo. Ma, alla vigilia del ritiro, il suo sguardo si volge ancora alla parte più debole del suo Paese, l’Est in cui ha trascorso metà dell’esistenza. «Nella Bundesrepublik, i tedeschi dell’Est si sentono cittadini di seconda classe» osserva con amarezza nel discorso tenuto nell’ottobre del 2019, in occasione del trentesimo anniversario della caduta del Muro. L’unità statale tedesca è compiuta. L’unità dei tedeschi, il loro essere uniti in quell’ottobre 1990 non era compiuto. E non lo è ancora».
La ragazza dell’Est, divorziata e senza figli, a capo di un partito cattolico e conservatore, ha rivoluzionato il rapporto delle donne con il potere, ha dilatato il loro spazio nella società e nella politica, ha ampliato i diritti di tutti, ha esaltato l’etica protestante, ha difeso il ruolo della famiglia, mandando tuttavia in soffitta le tre K, Kinder, Küche, Kirche (bambini, cucina, chiesa), lo stereotipo tradizionale della donna tedesca.
Se la Germania è stata per lei al primo posto, come primo dovere di un cancelliere, Angela Merkel non ha mai smesso di credere all’Europa e di lavorare per essa. Lo ha fatto a modo suo, non lineare – pieno di «d’altronde», «forse», «vale la pena di», «aspettiamo un momento» eccetera, per citare frasi ricorrenti –, ma lo ha fatto, spesso in contrasto con gli ambienti più rigidi dell’establishment politico e finanziario del Paese.
..ha difeso gli interessi europei di fronte a Donald Trump e Vladimir Putin. E ha chiuso la sua stagione concordando con Emmanuel Macron il Recovery Fund, l’eccezionale intervento a sostegno dei Paesi colpiti dalla pandemia. Oggi, parole come eredità e tramonto cominciano ad avere senso storico. «È chiaro che dobbiamo scegliere il multilateralismo e che isolarsi non serve a nessuno. […] Sono convinta che sia meglio mettersi nei panni degli altri, guardare oltre i propri interessi e vedere se possiamo trovare soluzioni vantaggiose per tutti, piuttosto che pensare di risolvere tutto da soli.»
Vicepresidente dal 1991, segretario generale dal 1998, presidente dal 2000 al 2018, la Merkel ha regnato sulla CDU per trent’anni. Un percorso incredibile per una donna che all’inizio considerava la CDU «un partito di grandi uomini con le scarpe nere lucide». Da «corpo estraneo», lo ha rivoltato, ne ha modernizzato strutture e contenuti, cambiando anche il colore distintivo, dalle scritte nere alle arancioni, lo ha aperto alle donne e ai giovani, ne ha fatto il perno del potere e del mantenimento del proprio personale consenso.
I detrattori le rimproverano di non aver favorito la crescita di una nuova classe dirigente e di avere indirettamente alimentato la nascita di un partito di estrema destra, i cui ispiratori sono ex esponenti della CDU. Il contrasto con la linea della cancelliera è esploso in seguito alla crisi dei rifugiati.
Già nel 1995 aveva affermato che la popolazione era molto più avanti del partito, come mentalità e stile di vita. «Sono cresciuta in una famiglia in cui il cristianesimo ha plasmato il luogo della mia vita e il mio atteggiamento verso la vita» ha detto, ma la fede non ha frenato coraggiose aperture su temi etici come l’aborto, la pillola del giorno dopo, la legalizzazione delle coppie omosessuali, la ricerca scientifica sulle cellule staminali.21 Nessun altro leader della CDU ha ricevuto così tante critiche da ambienti ecclesiastici, oltre che dalle correnti conservatrici interne.
Il fatto che fosse una donna dell’Est non è stato un vantaggio. Ma un formidabile stimolo per diventare cancelliera e lasciarsi alle spalle il passato, verso una nuova vita. I connazionali, non solo i suoi sostenitori, ricorderanno la sua modestia e la sua onestà: le qualità che il tedesco medio si attende dai potenti.
Nella storia dei lunghi regni, luci e ombre, avversari e adulatori, generali intelligenti e consiglieri eroici, successi ed errori sono tenuti insieme da una linea di continuità che, nelle fasi finali, produce stanchezza e voglia di ricambio. È il momento più difficile, spesso accompagnato da tradimenti, malignità, ingratitudine. Quando sta calando il sipario della politica, mentre il protagonista si inchina per gli ultimi applausi e gli spettatori lasciano la sala, c’è la corsa a spegnere le luci
Non sorprende che a firmare uno dei libri più critici su Angela Merkel sia un’ex consigliera di Helmut Kohl, la sociologa Gertrud Höhler, che appartiene alla vecchia guardia della CDU. Forse, memore del «parricidio» dell’ex cancelliere, ha scritto pagine al vetriolo. Il saggio, uscito in Germania con un titolo emblematico, ‘Die Patin’ (la padrina), ha paragonato la Kanzlerin a una lupa al comando di un branco di lupi, ma si sa che in politica, come scrisse Shakespeare, non ci sarebbero lupi se non ci fossero pecore.
L’ottantenne Höhler si è ripetuta con l’accusa di comportamento “metademocratico della signora Merkel”. Julia Schramm, giovane esponente di Die Linke, nel suo Fifty Shades of Merkel si sofferma su problematiche sociali irrisolte: «Il numero di milionari è raddoppiato, mentre ancora troppi bambini vivono in povertà».
Quando «Die Zeit», nel gennaio del 2021, ha messo a confronto opinioni di sei fra i più noti biografi, il risultato – al di là di analisi politiche e bilanci – è stato monocorde: la storia della cancelliera contiene sorprese, misteri e il fascino di una fiaba. Al momento del commiato, con misurata tranquillità, ringrazierà anche chi non dovrebbe. E non darà retta a quei violini che «attaccheranno la sinfonia dell’encomio», come scrisse Alberto Cavallari a proposito del commiato di Luigi Einaudi.
La Merkel ha affrontato crisi – interne, europee e internazionali – senza la «fortuna» di vivere momenti epocali come i predecessori: la ricostruzione postbellica, l’Ostpolitik, la caduta del Muro di Berlino, la riunificazione. All’inizio della sua carriera, ha visto evaporare in fretta un’improbabile euforia per un mondo ideale, di progresso senza confini e senza conflitti, di sviluppi democratici mondiali: in sintesi, la «fine della Storia», come ha azzardato il politologo statunitense Francis Fukuyama.
Sono arrivati l’11 settembre e l’esplosione del terrorismo internazionale, i conflitti in Medio Oriente, le bolle finanziarie, la moltiplicazione di guerre a bassa intensità – dall’Ucraina alla Siria, dalla Georgia alla Libia –, le tensioni geopolitiche fra Cina e Stati Uniti, la devastante pandemia: fenomeni che hanno messo a nudo inadeguatezza delle istituzioni internazionali, limiti della costruzione europea, difficoltà di ripensare la direzione di un mondo senza bussola e in balia della rivoluzione tecnologica.
Angela Merkel vIn questo immenso mare, ha forse navigato a vista, ma il senso della Storia lo dà il fatto che sia stata lei il riferimento costante, il punto di caduta o di sintesi, il riparo più affidabile nella tempesta, il capitano che non ha mai abbandonato la plancia. A volte si è affidata a un prezioso alleato, il tempo, nel senso che ha usato pazienza e perseveranza quando gli altri pretendevano di fare in fretta, senza però un itinerario affidabile.
La Merkel ha spesso ripetuto: «L’Europa ha solo il 7 per cento della popolazione mondiale, il 25 per cento della produzione economica, il 50 per cento del benessere sociale: sono proporzioni destinate a esplodere». E dentro questa Europa, c’è un modello tedesco di cui la Merkel non ha mai smesso di mettere in evidenza i limiti: riunificazione incompiuta, crisi demografica, opacità del sistema bancario, conflitti fra poteri centrali e regionali, fonti energetiche dopo l’abbandono del nucleare, ritardi nell’innovazione industriale, crisi dei partiti di massa.
Probabilmente, sarebbe azzardato il paragone con Bismarck o con Federico II, ma la prima cancelliera puòstare sul piedistallo della storia tedesca. Occorre chiedersi chi, fra i leader dell’Occidente, soprattutto in Europa, a partire dagli anni Duemila, abbia avuto una profonda e lungimirante visione, tanto da servirle da esempio. Forse è stata una cancelliera per sottrazione, longeva per mancanza di alternative. Ma questa, in politica, è una qualità.
Quanto ai successori, incerti, semi sconosciuti, poco brillanti, privi di carisma, è opportuno di ricordare chi fosse, all’inizio della storia, la «ragazza venuta dall’Est».