I talebani tra Cina, Russia e Cia
I talebani tra Cina, Russia e Cia

La narrazione corrente della disastrosa ritirata Usa dall’Afghanistan sostiene che, sia pure in modo indiretto, la sconfitta degli occidentali rappresenta una grande occasione per Cina e Russia. Non a caso, entrambe le potenze hanno mantenuto aperte le loro ambasciate a Kabul. Pronte – o almeno così si dice – a riempire il vuoto che gli Stati uniti e i loro alleati hanno lasciato in un’area altamente strategica.
Ma è proprio così? In realtà tanto Pechino quanto Mosca hanno fatto trasparire, per quanto sottotraccia, segnali preoccupati per la nuova situazione nel Paese asiatico.

Il capo della CIA e l’incontro segreto con Abdul Ghani Baradar dei talebani a Kabul

Cina e Russia presenti ma sospettosi

I cinesi temono infiltrazioni nella regione autonoma dello Xinjiang, popolata dagli uiguri musulmani che, com’è noto, sono da sempre sottoposti a una dura repressione da parte di Pechino.
Dal canto loro i russi temono analoghe infiltrazioni nelle Repubbliche ex sovietiche dell’Asia centrale come, per esempio, il Turkmenistan. Repubbliche in cui il radicalismo islamico, nonostante la repressione russa, è ben presente.
Mette pure conto notare che l’Afghanistan confina sia con la Cina che con le anzidette Repubbliche ex sovietiche. Inoltre, non è neppure necessario pensare a infiltrazioni, giacché la vittoria talebana potrebbe scatenare fenomeni di emulazione spontanea.

Talebani trappola Cia a Cina e Russia?

D’accordo, i talebani hanno promesso di non consentire più, com’è avvenuto in passato, che l’Afghanistan diventi una comoda base per il terrorismo internazionale. Bisogna però capire sino a che punto ci si possa fidare della parola degli “studenti coranici”, anche perché il loro nuovo governo presenta figure incluse nella “blacklist” dell’antiterrorismo (e non solo di quello Usa).
In secondo luogo, si è pure constatato che i talebani non controllano totalmente il territorio del loro Emirato. Vi sono infatti altri gruppi fondamentalisti, ad essi ostili, che non prendono ordini dai leader talebani, e che sono anche in grado di effettuare attacchi terroristici in piena autonomia.
C’è poi un’altra narrazione, diciamo “complottista”, secondo la quale gli Usa si sarebbero di proposito ritirati in fretta e furia proprio per mettere in difficoltà Mosca (e soprattutto Pechino), puntando a lasciare le potenze avversarie “con il cerino acceso in mano”.

Il sospettabilissimo Pakistan

Quest’ultima interpretazione appare poco credibile, se non addirittura fantasiosa. Eppure, conoscendo la complessità dell’area nulla si può escludere in modo assoluto. Aggiungendo, però, che è difficile attribuire strategie così machiavelliche a un presidente come Joe Biden.
E un altro fatto va notato, che riguarda il Pakistan, nelle cui madrase molti leader talebani sono stati educati. Un tempo alleato di ferro degli Stati Uniti, questo Paese (che detiene un notevole arsenale nucleare) si è poi avvicinato alla Cina, anche grazie ai copiosi investimenti che Pechino gli ha destinato.

Il capo della Cia in visita all’Isi pakistano

Ora sembra si stia verificando una sorta di “gioco di sponda” tra la Cia statunitense e l’Isi, il servizio d’intelligence pakistano. Il suo direttore, Faiz Hameed, ha svolto un ruolo cruciale nella nascita del nuovo governo talebano.
Lo stesso Hameed, insieme al capo si stato maggiore dell’esercito di Islamabad, generale Qamar Bajwa, ha incontrato di persona sul suolo pakistano il direttore della Cia William Burns. Del resto il Pakistan è sempre stato un sostenitore – neppure troppo occulto – del movimento degli “studenti coranici”.

Scenario torbido e confuso

In uno scenario così complicato (e confuso) non è facile trarre conclusioni precise. E’ tuttavia plausibile pensare che, agendo in questo modo, gli americani stiano tentando di staccare, almeno parzialmente, Islamabad da Pechino, riprendendo i vecchi rapporti di alleanza con il Pakistan.
Giusto per non far dormire sonni tranquilli a un altro grande attore sulla scena: la Federazione Indiana. Quest’ultima, nemica atavica del Pakistan, si era molto avvicinata agli Usa grazie a un solido rapporto d’amicizia tra il suo premier Narendra Modi e l’ex presidente Donald Trump. Con Biden pare non ci sia altrettanto feeling. Ragion per cui pure New Delhi, che ha problemi con il fondamentalismo islamico nel suo territorio, è costretta a cercare una nuova collocazione per non restare isolata.

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