
In via teorica la deroga dovrebbe valere fino alla fine dell’anno. Ma probabilmente varrà fino a quando il Regno Unito non sarà in grado di assicurarsi forniture regolarida oltre Manica. «Ossia fino a quando i problemi doganali legati alla Brexit non saranno risolti, chissà quando». Perché, scopre adesso il Regno della quasi centenaria Elisabetta imprudentemente affidato all’estroso ma inaffidabile Boris, che i conti con la realtà quotidiana proprio non li sa fare. Dal Covid alle fogne. O ai regali di Natale. La catena di approvvigionamento britannica dopo l’uscita dall’Ue è sotto forte pressione, e non solo per il solfato pulisci scarichi. Mancano più di 100 mila autisti. E si temono effetti anche sul Natale
Come spiegava David Carretta a fine agosto, Britannia da guerra. «Scaffali di supermercati vuoti, McDonald’s che ha esaurito i milkshake, Nando’s costretto a chiudere alcuni ristoranti perché non riesce a rifornirsi di pollo, fialette di plastica mancanti per gli esami del sangue: tra effetti della Brexit e perturbazioni dovute al Covid, la catena di approvvigionamento del Regno Unito è sotto forte pressione, con il governo di Boris Johnson al rischio di un Natale di penurie di prodotti alimentari se non ammorbidirà il “take back control” delle regole su immigrazione e controlli sulle merci».
Il problema contingente è la mancanza di autisti di Tir che trasportano alimenti e bevande in negozi e ristoranti. Secondo l’Associazione dei trasporti su strada mancano più di 100 mila autisti. Prima della Brexit e della pandemia, nel Regno Unito ce n’erano 600 mila. Decine di migliaia di camionisti dell’est europeo hanno scelto di tornare nell’Ue. «Natale è dietro l’angolo e nel commercio iniziamo a costituire gli stock da settembre», ha spiegato il presidente della catena di supermercati Tesco, John Allen: «La ragione per suonare l’allarme ora è che abbiamo già avuto un Natale cancellato all’ultimo minuto. Non vorrei che anche questo sia problematico».
La penuria di lavoratori dell’Europa dell’est inizia a farsi sentire anche in altri settori, come l’agricoltura, la pesca e la produzione alimentare. Secondo il Guardian, quasi 90 mila lavoratori romeni e bulgari se ne sono andati dal Regno Unito dalla fine del 2019. E i lavoratori di otto paesi est-europei tra cui Polonia e Repubblica ceca sono diminuiti di oltre 100 mila unità. Per il direttore della catena di supermercati Iceland, “una ferita autoinflitta” con la Brexit. Le associazioni industriali hanno chiesto al governo Johnson flessibilità sui visti per i lavoratori dell’Ue. Ma un portavoce del ministero dell’Interno ha risposto che “i datori di lavoro dovrebbero investire nella forza di lavoro interna”. Perché gli autisti di TIR nascono sotto i cavoli, come da fiaba.
Supermercati con il numero di prodotti sugli scaffali già ridotti. Tra ottobre e gennaio la situazione rischia di peggiorare ulteriormente, quando il Regno Unito dovrebbe introdurre una nuova serie di controlli alle frontiere sui prodotti importati dall’Ue. A settembre, il governo Johnson deve trovare una soluzione anche alla disputa con l’Ue sulle merci che passano dalla Gran Bretagna all’Irlanda del Nord. Il Financial Times ha rivelato che il governo Johnson avrebbe accettato la richiesta dell’industria di ritardare di un anno il marchio di qualità UKCA, dopo che le associazioni di categoria hanno spiegato di non essere pronte ad adeguarsi alla burocrazia britannica post Brexit.
Malgrado l’uscita dall’Ue, le imprese del Regno Unito potranno continuare a usare il marchio CE fino al primo gennaio 2023, per gentile concessione di Bruxelles.
«Non devi parlare di noi (…) come cugini, e tanto meno come fratelli. Non siamo né l’uno né l’altro”) per spiegare che l’America è tornata isolazionista».