Ministro del terrore senza volto
Il ministro del terrore

Sul nuovo governo talebano i commenti si sprecano, tutti molto negativi. Tra i patti Usa-Talebani sottoscritti a Doha, punto chiave, la garanzia di un Afghanistan non più terra rifugio del terrorismo jihadista internazionale. Ma la prima mossa del nuovo governo di Kabul, oltre ai settarismi violenti che iniziano a segnare la quotidiana soprattutto delle donne, è un pessimo degnale politico nella formazione del nuovo governo.
Primo fra tutti il nome di Sirajddin Haqqani, ricercato dall’Fbi come terrorista e ora ministro di polizia le cui sole immagini in circolazione sono quelle che vedete, compresa la scheda ‘wanted’ Usa qui sotto.

Il ministro del terrore

Governo provvisorio quanto vuoi, premier e ministri ex detenuti Usa a Guantanamo, segnalati a livello Onu come presunti terroristi, ma soprattutto, ministro degli Interni, il ministro di polizia, per dirla in maniera brutale ma più realistica, nientemeno che Sirajddin Haqqani. Il cui nome alla maggior parte della gente non dice niente, ma racconta invece molto agli specialisti di storia del terrorismo jihadista nel mondo.

La ‘Rete Haqqani’

Sirajddin, infatti, è il figlio del defunto Jalaluddin, capo storico della “Rete Haqqani”, un aecipelago di tribù jihadiste che si muovono dalle loro basi in Waziristan, tra le montagne che dividono l’Afghanistan dal Pakistan. E quelli della “Rete Haqqani” sono i migliori amici di al Qaida (e dell’IS-Khorasan) e da sempre sostengono la lotta del fondamentalismo islamico anche fuori dall’Asia centrale.

Una nomina provocazione

Il nuovo Ministro degli Interni talebano, secondo l’intelligence americana, sarebbe un pericoloso terrorista, ed è accusato di essere coinvolto in alcuni sanguinosi attentati. Anche se ha fatto parte della delegazione guidata dal Mullah Baradar durante i colloqui di Doha, in Qatar. Secondo gli analisti, rappresenta una delle ali più estremiste del movimento talebano e nel Golfo Persico, tutelerebbe gli interessi del jihadismo internazionale.

‘Quello che noi talebani vogliamo’

Grandi polemiche su un suo articolo (“Quello che noi talebani vogliamo”) che il New York Times ha ospitato nel febbraio 2020. Haqqani, in quell’occasione, ha mostrato un volto conciliante, anche se non ha potuto fare a meno di ribadire alcuni concetti inderogabili della filosofia politica e sociale talebana. Tra le altre cose, ha scritto “che le mutilazioni e le uccisioni devono cessare”. E ha parlato di “governo inclusivo” e di “partecipazione di tutti gli afghani”.

Le promesse subito smentite

Promesse evidentemente non mantenute, alla luce di quello che sta capitando nel Paese appena abbandonato dagli americani. Anche gli impegni sui “gruppi stranieri” (formazioni terroriste) che stanno al fianco dei talebani suonano ambigui. Secondo Jon Sobel, della Bbc, almeno 20 milizie di fondamentalisti islamici hanno combattuto recentemente a sostegno delle tribù “pashtun”, l’etnia prevalente tra i talebani e nel governo afghano.

Al Qaida in Afghanistan o in Pakistan?

Quando Sirajddin sostiene che la ‘Rete Haqqani’ non protegge al Qaida in Afghanistan, dice parzialmente la verità. Perché, in effetti, la protegge e la sostiene in Pakistan. Gli Haqqani si sono distinti per la loro ‘professionalizzazione’ degli attacchi suicidi e nel corso del tempo hanno conquistato un quasi monopolio di questa tattica all’interno dei talebani”, ha scritto su La Repubblica Antonio Giustozzi, visiting professor del King’s College di Londra, in un ritratto del terrorista.

La scheda FBI

Sul sito del Federal Bureau of Investigation è ancora visibile la scheda di Sirajuddin Haqqani, nato tra il 1973 e il 1980, tra l’Afghanistan e il Pakistan. Sulla sua testa la taglia di cinque milioni di dollari. «Ricercato per essere interrogato in relazione all’attacco del gennaio 2008 a un hotel a Kabul, in Afghanistan, che ha ucciso sei persone, tra cui un cittadino americano. Si ritiene che abbia coordinato e partecipato ad attacchi transfrontalieri contro gli Stati Uniti e le forze della coalizione in Afghanistan».

Dato che c’erano, avrebbero potuto nominarlo, sul campo, Ministro per il Terrorismo. Così non avremo perso tempo a fare analisi complicate.

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