Perché insorgere è necessario

Un lettore ha chiesto ragione della parola “insorgere” che appariva nel mio ultimo Polemos.
Lo so, sono un estremista. E non mi tiro indietro edulcorando concetti evidenti per non disturbare il manovratore. Non l’ho mai fatto, figuriamoci se ho paura delle parole che scrivo a questo punto della mia esistenza, alternando ai libri il vino, celebrando il dono dell’incontro e il miracolo della bellezza quando è legata all’etica della semplicità.

Scrivo anche di conflitto sociale, di differenze di classe esaltate dalla meritocrazia che mette sullo stesso piano assoluto condizioni asimmetriche. Ah, giusto: parlo anche di eguaglianza, di diritti sociali che a mio modo di vedere contengono anche i diritti civili (non il contrario). E lo faccio perché non penso che sia un bene per questa democrazia delle finzioni discutere per mesi su dettagli e perdere di vista il quadro d’insieme. Annacquando concetti e conflitti, dimenticando sempre che sono le storture del sistema a causare guerre, povertà, immigrazione, fame, rabbia, disoccupazione, ignoranza.

Per esempio, “insorgiamo” è il grido di battaglia e di speranza dei lavoratori Gkn di Firenze, 422 esseri umani licenziati in tronco per mail da un Fondo speculativo inglese che ha deciso di aumentare gli utili delocalizzando in Polonia. Dopo questa decisione il titolo del Fondo è salito alle stelle, mostrando anche ai più gonzi la logica dei mercati finanziari: la vita delle persone vale zero, contano solo i soldi prodotti anche da azioni tecnicamente legali, ma infami.

I due figuri che hanno gestito l’operazione hanno intascato, in due, con questa decisione 15 milioni di sterline: il costo aziendale di un anno dei 422 lavoratori. E i due gestori si vantano anche di aver garantito agli azionisti in 18 anni di esistenza del fondo speculativo 4,7 miliardi di sterline.

Sulla pelle dei lavoratori. Sulla pelle delle famiglie delle persone che con una mail si sono trovate a casa, senza lavoro e senza prospettive. Ora gli impomatati finanzieri del ciufolo andranno a sfruttare e poi a massacrare altri lavoratori in altre parti del mondo, nel silenzio della politica e anche delle istituzioni, preoccupate a non infastidire mai troppo chi crea ricchezza (per se stessi, creando un mare di povertà).

E non dovremmo trasalire di fronte a questa vergogna e insorgere? Che cosa ci resta da fare? Accettare la devastazione della nostra cultura, del tessuto sociale del nostro paese perché ce lo chiedono i mercati? Accettare questa politica pallida che in un modo o nell’altro si destreggia per garantire ai padroni sempre maggiori profitti, privatizzazioni che distruggono il bene comune e assecondano il desiderio di chi ha di più di avere ancora di più, arraffando tutto e pretendendo anche venerazione.

Ah, dimenticavo, la giustizia sociale, la lotta contro i mostri che ci impoveriscono gettandoci nelle braccia di populismi razzisti e fascisti (storicamente utili agli sfruttatori), uccidendo le speranze dei nostri figli, non sono mai all’ordine del giorno. Noi, mediaticamente, dobbiamo lottare per le cose insignificanti, per diritti che non smuovono di un millimetro la struttura ingiusta della società… e fingere che i mercati siano un dogma neutro, così come le delocalizzazioni o il diritto dei fondi speculativi di uccidere metaforicamente, e non solo, esseri umani e territori.

Dovremmo accettare il fatto che la spietatezza possa essere lautamente ricompensata in denaro e arrenderci di fonte a questo dogma della modernità? Oppure tentare di alzare la voce. Insorgere contro le ingiustizie che ci tolgono la dignità e la vita. Resistere. Difendersi. Farci ascoltare. Fare politica. Costringere la politica a non rappresentare sempre e solamente gli interessi di chi ha denaro. Porre ovunque la questione della giustizia sociale. Pensare al futuro, in modo che sui libri di storia tra cento anni possano non ridere della nostra ottusa dabbenaggine…

Non fare i cortigiani col cappello in mano di fronte al potente di turno. Questi i primi passi per insorgere.

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