
Violino. E poi flauto. Perché c’era anche il grande Manuel Granatiero, e con lui i suoi allievi. Mentre le persone di passaggio si fermavano rapite. E alla fine di ogni pezzo gli applausi salivano al cielo a raggiungere l’armonia della note.
La bellezza è apparsa come un mistero. Con la sua semplicità. Senza altro che un sorriso, uno scambio, una relazione con chi c’era e anche con chi passava e non capiva.
Amandine e Manuel sono interpreti di una grandezza stellare, conosciuti in tutto il mondo. Non hanno bisogno di scintillanti sfarzi, di location tirate a lucido per la loro arte. È in loro che vive. Appare senza filtri. Arriva come un sentimento che non ti aspetti, che prende il cuore e rapisce. Ti fa riflettere sul senso di quello che perdiamo quando deleghiamo al conformismo imbellettato anche gli spazi più remoti e delicati dell’inatteso che sconvolge ogni aspettativa, del nostro essere uomini e donne.
Ascoltare sulla strada è essere sulla soglia, su quel limen che unisce il profondo che è in noi con la vita di ogni giorno, con i suoi riti e le fatiche. È essere sulla soglia di una libertà essenziale che appare e ti sorprende lieve e austera. Come una piccola remota chiesa che vedi all’orizzonte tra due cipressi, spirituale nella sua povertà, indimenticabile per le condizioni di solitudine e silenzio. Capace di dialogare con quel silenzio necessario che andiamo ricercando e che non necessita di altro se non della sua imprecisione, delle rughe del tempo, dell’essere confine tra le nostre paure e abitudini mediatiche e conformiste e il mistero.
Così è gioia quando accade il miracolo
Forte, lieve, austera. Serena. Sferzante. Queste parole mi risuonano nella testa e gioisco. Serve poco per vivere l’intensità delle relazioni, per godere delle piccole cose essenziali e magiche. E ringrazio gli amici che remano contro, ostinati e contrari. Quelli di Paesaggi musicali, che amiamo; quelli che soavi non si arrendono al richiamo luccicante del format, qualunque esso sia.