Tutto merito dei talebani e demerito afghano-americano ciò che sta accadendo in Afghanistan, o c’è qualcosa di più alla spalle di questa cataclisma territoriale e politico del Centrasia? «I patti di Doha e il giallo sul confine con l'Iran», approfondisce su Avvenire, Camille Eid, studioso libanese di cose arabe e docente alla Cattolica. Una simile vittoria dei telebani non sarebbe stata possibile se non fosse stata in qualche modo concordata con almeno alcune delle forze in campo attorno all’Afghanistan, sostengono molti analisti. Gli americani per primi, con i fallimentari accordi di Doha, ma forse non soltanto. Domanda successiva, quale sarà il rapporto tra Teheran e Kabul? Processione degli sciiti a Herat, ex presidio italiano La foto di copertina mostra la processione degli sciiti per l'Ashura a Herat, dopo la conquista dei talebani. Non ci sono stati combattimenti e questo lascia pensare a un accordo. Così lanciava la foto l’agenzia Ansa. Accordo con chi rispetto al mondo sciita, minoritario in Afghanistan ma dominante oltre il labile e vicinissimo confine con l’Iran? E diversi analisti sostengono che una affermazione talebane di tale portata non sarebbe stata possibile se non fosse stata in qualche modo concordata – o quantomeno tacitamente accettata – con la controparte, nello specifico con gli americani, ma forse non soltanto. Clausole e interlocutori segreti «Secondo gli analisti, l’“Accordo per portare la pace in Afghanistan” sottoscritto il 29 febbraio del 2020 a Doha, nel Qatar, dagli Stati Uniti e l’”Emirato islamico dell’Afghanistan” contiene clausole segrete che disegnano il nuovo quadro geopolitico nella regione», segnala Camille Eid. Che, per evitare di cadere nelle speculazioni, riesamina solamente i fatti, privilegiando quelli meno noti o più nascosti. Fatto noto, «l’Accordo di Doha stabilisce le norme per neutralizzare il Daesh, tuttora presente in alcune zone orientali dell’Afghanistan, sul confine con il Pakistan. Tra poco assisteremo quindi a una guerra “ufficiale” tra un governo notoriamente qaedista e i seguaci del Califfato». Fatto trascurato. «Possibile che Washington si sia rassegnata all’idea di abbandonare l’Afghanistan senza avere delle rassicurazioni sul fatto che Teheran non ne tragga beneficio, come aveva fatto in Iraq dopo la caduta di Saddam Hussein? In altre parole, senza “delegare” ai taleban il compito di mantenere l’accerchiamento del Paese mediorientale più nelle mire degli Stati Uniti?» Ma dietro le quinte, fatti e domande Una delegazione dei talebani il 7 luglio era a Teheran per partecipare, accolta dall’allora ministro degli Esteri Mohammad Javad Zarif. L’Iran certamente lieto di vedere l’Afghanistan libero dalle truppe statunitensi, forse anche disposto a fornire qualche aiuto militare ai vecchi rivali taleban, «ma Teheran non gradisce certo vedere questi ultimi governare il Paese da soli», annota Eid. Da Teheran minacce implicite in caso di espansione nelle zone frontaliere senza «il necessario benestare» dei Fatimiyyoun, le brigate sciite reclutate dai pasdaran tra i rifugiati hazara afghani in Iran, e poi mandate a combattere in Siria. «Alla fine, non abbiamo visto nessuno scontro tra le milizie sciite e i taleban, con questi ultimi che hanno occupato, l’una dopo l’altra, le tre province confinanti con l’Iran senza colpo ferire: Farah, Nimruz e Herat». La mancata reazione iraniana sarebbe riconducibile al concomitante passaggio dei poteri tra Hassan Rohani e Ibrahim Raisi oppure a un approccio pragmatico deciso ai massimi vertici religiosi iraniani? Forza QAuds iraniana Per ora, e mentre l’Occidente si adopera per mettere in salvo il suo personale diplomatico, l’Iran ribadisce che le sue missioni presenti a Kabul e a Herat sono rimaste aperte. Ma gli esperti iraniani ricordano nel contempo che il capo della Forza Quds, Esmail Qaani, succeduto a Qassem Soleimani, è «specialista in questioni afghane».
Sul futuro strategico dell’Afghanistan, molti a parlare di Cina, pochi a considerare l’Iran

Tutto merito dei talebani e demerito afghano-americano ciò che sta accadendo in Afghanistan, o c’è qualcosa di più alla spalle di questa cataclisma territoriale e politico del Centrasia? «I patti di Doha e il giallo sul confine con l’Iran», approfondisce su Avvenire, Camille Eid, studioso libanese di cose arabe e docente alla Cattolica.
Una simile vittoria dei telebani non sarebbe stata possibile se non fosse stata in qualche modo concordata con almeno alcune delle forze in campo attorno all’Afghanistan, sostengono molti analisti. Gli americani per primi, con i fallimentari accordi di Doha, ma forse non soltanto.

Domanda chiave successiva, quale sarà il rapporto tra Teheran e Kabul?

Processione degli sciiti a Herat, ex presidio italiano

La foto di copertina mostra la processione degli sciiti per l’Ashura a Herat, dopo la conquista dei talebani. ‘Non ci sono stati combattimenti e questo lascia pensare a un accordo’. Così lanciava la foto l’agenzia Ansa. Accordo con chi rispetto al mondo sciita, minoritario in Afghanistan ma dominante oltre il labile e vicinissimo confine con l’Iran? E diversi analisti sostengono che una affermazione talebane di tale portata non sarebbe stata possibile se non fosse stata in qualche modo concordata – o quantomeno tacitamente accettata – con la controparte, nello specifico con gli americani, ma forse non soltanto.

Clausole e interlocutori segreti

«Secondo gli analisti, l’“Accordo per portare la pace in Afghanistan” sottoscritto il 29 febbraio del 2020 a Doha, nel Qatar, dagli Stati Uniti e l’”Emirato islamico dell’Afghanistan” contiene clausole segrete che disegnano il nuovo quadro geopolitico nella regione», segnala Camille Eid. Che, per evitare di cadere nelle speculazioni, riesamina solamente i fatti, privilegiando quelli meno noti o più nascosti.
Fatto noto, «L’Accordo di Doha stabilisce le norme per neutralizzare il Daesh, tuttora presente in alcune zone orientali dell’Afghanistan, sul confine con il Pakistan. Tra poco assisteremo quindi a una guerra “ufficiale” tra un governo notoriamente qaedista e i seguaci del Califfato».
Fatto trascurato. «Possibile che Washington si sia rassegnata all’idea di abbandonare l’Afghanistan senza avere delle rassicurazioni sul fatto che Teheran non ne tragga beneficio, come aveva fatto in Iraq dopo la caduta di Saddam Hussein? In altre parole, senza “delegare” ai taleban il compito di mantenere l’accerchiamento del Paese mediorientale più nelle mire degli Stati Uniti?»

Fatti e domande dietro le quinte

Una delegazione dei talebani il 7 luglio era a Teheran per partecipare, accolta dall’allora ministro degli Esteri Mohammad Javad Zarif. L’Iran certamente lieto di vedere l’Afghanistan libero dalle truppe statunitensi, forse anche disposto a fornire qualche aiuto militare ai vecchi rivali taleban, «ma Teheran non gradisce certo vedere questi ultimi governare il Paese da soli», annota Eid.
Da Teheran minacce implicite in caso di espansione nelle zone frontaliere senza «il necessario benestare» dei Fatimiyyoun, le brigate sciite reclutate dai pasdaran tra i rifugiati hazara afghani in Iran, e poi mandate a combattere in Siria.
«Alla fine, non abbiamo visto nessuno scontro tra le milizie sciite e i taleban, con questi ultimi che hanno occupato, l’una dopo l’altra, le tre province confinanti con l’Iran senza colpo ferire: Farah, Nimruz e Herat».

La mancata reazione iraniana sarebbe riconducibile al concomitante passaggio dei poteri tra Hassan Rohani e Ibrahim Raisi oppure a un approccio pragmatico deciso ai massimi vertici religiosi iraniani?

Forza Quds iraniana

Per ora, e mentre l’Occidente si adopera per mettere in salvo il suo personale diplomatico, l’Iran ribadisce che le sue missioni presenti a Kabul e a Herat sono rimaste aperte. Ma gli esperti iraniani ricordano nel contempo che il capo della Forza Quds, Esmail Qaani, succeduto a Qassem Soleimani, è «specialista in questioni afghane».

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