
Servirà però uno sforzo «immediato e su larga scala» da parte dei paesi di tutto il mondo per ridurre le emissioni inquinanti
Cresce la febbre del pianeta e lo fa in modo rapido, diffuso e sempre più intenso, come non è mai accaduto negli ultimi 2000 anni, almeno, spiegano gli oltre 200 scienziati che hanno lavorato al progetto. Secondo lo studio, gli ultimi cinque anni sono stati i più caldi che siano stati registrati dal 1850 a oggi, e probabilmente l’ultimo decennio è stato il periodo più caldo degli ultimi 125mila anni. Sempre a causa delle attività umane, i livelli di anidride carbonica nell’atmosfera sono i più alti degli ultimi 2 milioni di anni.
Il riscaldamento globale non ha soltanto fatto aumentare la frequenza e l’intensità di diversi fenomeni meteorologici particolarmente gravi, ma ha anche danneggiato e aggravato la situazione degli ecosistemi in tutto il mondo. Esempio, lo scioglimento dei ghiacci con il riversamento di miliardi di tonnellate di acqua negli oceani, provocando l’innalzamento dei livelli dei mari, con conseguenze talvolta già irreversibili.
Rispetto agli anni Cinquanta, inoltre, ci sono state ondate di caldo più intense e più frequenti nel 90 per cento delle regioni del mondo, che sono collegate allo scoppio di incendi vastissimi, e il riscaldamento globale ha influenzato anche altri eventi meteorologici estremi, come le recenti alluvioni in Germania e in Cina.
Il segretario generale dell’ONU, António Guterres, ha detto che il rapporto è un «codice rosso per l’umanità»: ridurre le emissioni inquinanti nel più breve tempo possibile è cruciale per evitare che le temperature aumentino eccessivamente, perciò «non c’è più tempo per scuse o per ritardi».
«Di allarmi come quelli lanciati ieri ne abbiamo già sentiti parecchi», riconosce Daniela Passeri, ma questa volta i riscontri sono dettagliati e collegati tra loro. «La fotografia dettagliata ci dice che i cambiamenti climatici non interessano in modo uniforme tutte le parti del globo: l’Artico si è scaldato più di altre zone della terra (tra pochi anni a settembre sarà completamente libero dai ghiacci), la superficie terrestre più della superficie del mare, l’emisfero settentrionale più di quello meridionale. Le precipitazioni aumentano nelle latitudini più alte, ai tropici e in larga parte delle zone monsoniche, mentre diminuiscono nelle fasce subtropicali. Le zone già calde e aride, come il Mediterraneo o il sud dell’Africa, diventeranno più calde e aride».
«L’aumento generale della temperatura ha intensificato il ciclo dell’acqua e la sua variabilità che ha portato e porterà piogge più intense e localizzate associate ad alluvioni in alcune zone, mentre in altre provocherà siccità intensa, che metterà a rischio la possibilità di coltivare o la sopravvivenza di alcuni ecosistemi oppure creerà il fire weather (tempo del fuoco) definizione che descrive alla perfezione l’estate di incendi nel Mediterraneo».
In pericolo le zone costiere di due terzi del mondo per l’innalzamento del livello dei mari che nei prossimi 30 anni salirà di ulteriori 10-25 cm. «Gli effetti sulla biosfera sono già evidenti: molte specie stanno migrando verso i poli e verso altitudini maggiori, i pesci variano la direzione nelle migrazioni, il ciclo vegetativo delle piante si è modificato».
Nelle città, dove vive il 70% della popolazione mondiale, l’impatto dei cambiamenti climatici viene amplificato dalla geometria urbana, dall’altezza dei palazzi, dai materiali che assorbono calore, dalla carenza di aree verdi e di specchi d’acqua, fattori che determinano la formazione di isole di calore, dove le temperature possono superare di diversi gradi quelle medie regionali. Ma per quest’ultimo riscontro basta chiunque di noi che non abbia la possibilità di una feria ferragostana e sia costretto in città.
«Noi siamo convinti che i dati che presentiamo sono inequivocabili. Chi legge il Rapporto da un punto di vista scientifico dovrebbe non avere dubbi».