Gli incendi che devastano la Turchia bruciano la residua credibilità di Erdogan. Prima i tentativi di censura poi la colpevole incapacità
Gli incendi che devastano la Turchia bruciano la residua credibilità di Erdogan

Gli incendi che divorano alcune delle zone di maggior pregio turistico e naturalistico della Turchia con molti a danni enormi, come solo risarcimento al Paese al Paese, si stanno bruciando anche quello che resta della credibilità di governo per il presidente-sultano che da oltre dieci anni spadroneggia autoritariamente.
La minaccia alle tv di non riservare troppa attenzione ed enfasi agli incendi.

Erdoğan brucia consensi negli incendi

Il presidente turco è stato criticato per avere minimizzato l’emergenza degli ultimi giorni, e per avere adottato politiche inadeguate, è la formula più mite che il giornalismo dalla Turchia può oggi permettersi. «Da una decina di giorni in diverse parti della Turchia sono in corso grossi incendi che hanno provocato diversi morti, distrutto case e terreni, e costretto migliaia di persone a lasciare le proprie case». Le stesse autorità locali turche, alla prese con una fenomeno di dimensioni gigantesche e incontrollabile, li hanno descritti come i peggiori della storia della Turchia. Il presidente Recep Tayyip Erdoğan, l’uomo che tutto può e tutto decide da più di dieci anni in Turchia, ora, oltre alla pandemia e alla grave crisi economica, ha in conto anche la catastrofe incendi. Accusato (per ora molto timidamente), di aver gestito in maniera poco efficace l’emergenza.

‘Tutto sotto controllo’, come sempre

Quando sono cominciati gli incendi, Erdoğan aveva minimizzato l’emergenza, dicendo che era tutto sotto controllo e minacciato le televisioni di «pesantissime sanzioni» se avessero dato troppa visibilità a quanto stava accadendo, diffondendo «ansia e paura e demoralizzando il popolo». Il governo turco aveva poi sfruttato la situazione per accusare i curdi, contro cui Erdoğan ha iniziato da tempo una battaglia feroce, imputando a loro l’origine degli incendi. Terroristi e pure incendiari. Forse è per questo che le galere turche sono piene di esponenti politici della importante minoranza curda?

Poi la tragedia impone la verità

Col peggioramento della situazione, le autorità avevano poi dovuto rivedere le proprie posizioni. Erdoğan aveva dichiarato cinque province della costa mediterranea turca «zone colpite da disastro» e, contraddicendo le proprie dichiarazioni iniziali, aveva detto in un’intervista che gli incendi erano enormi e senza precedenti.

L’arroganza e la menzogna

Quando i sindaci di alcune città turche hanno chiesto aiuto per spegnere il fuoco, il governo ha dovuto ammettere di non avere abbastanza aerei per farlo, accettando gli aiuti esterni dell’Unione Europea, della Russia e dell’Azerbaijan. Anche se Erdoğan, all’inizio, aveva rifiutato altri aiuti necessari offerti da paesi che lui considera nemici. Un’altra critica ha riguardato l’inadeguatezza di Erdoğan nel sostenere la popolazione durante l’emergenza. Per esempio si è parlato molto dell’episodio del tè: durante una visita ufficiale a Marmaris, una città nel sud della Turchia molto colpita dagli incendi, Erdoğan ha lanciato pacchi di tè alla folla dal finestrino del pullman su cui si trovava.

Il gesto è stato pubblicamente deriso dal rapper turco Sehinsah e ripreso sui social, diventando di tendenza su Twitter con l’hashtag #akpartea (da AKP, il partito di Erdoğan), che raccoglie parodie e prese in giro di questo gesto.

Dall’AKpary all’#akpartea

Le prese in giro a Erdoğan non sono cosa da poco. Nella Turchia del dopo golpe e delle permanenti leggi emergenziali, le caricature e parodie del presidente possono essere punite con la prigione.
Decisioni inadeguate sono state prese anche da altri politici del partito di Erdoğan. Mehmet Ozeren, sindaco in una delle zone più colpite dagli incendi, è stato criticato per una battuta relativa alla promessa che aveva fatto il governo di concedere prestiti a basso interesse a chi aveva perso la propria casa negli incendi. Per evidenziare la vantaggiosità dei prestiti, Ozeren ha aggiunto: «sbaglierò a dirlo, ma penso che le persone che abitano in case molto vecchie diranno “se solo fossero bruciate anche le nostre case!”».

Negazionista climatico alla Trump

Al di là dei singoli episodi, sottolinea il Post, Erdoğan è stato criticato per la sua scarsa sensibilità nei confronti della crisi climatica, che secondo diversi scienziati ha avuto un ruolo molto importante nel trasformare gli incendi in Turchia in una grave emergenza.
La Turchia è l’unico paese del G20 a non aver ancora firmato l’accordo di Parigi sul clima. L’accordo è il più importante trattato internazionale degli ultimi anni per contrastare il riscaldamento globale, e impegna i paesi a ridurre sensibilmente le emissioni di anidride carbonica. Per una serie di fattori, la Turchia è considerata un paese particolarmente vulnerabile rispetto alle conseguenze del cambiamento climatico, in cui effetti sono diventati molto evidenti negli ultimi anni.

Questa volta il Sultano s’è bruciato

La pessima gestione degli incendi da parte di Erdoğan sta avendo conseguenze dirette a livello politico. Membri del Partito Popolare Repubblicano (CHP), il principale partito d’opposizione, hanno chiesto le dimissioni del ministro dell’Agricoltura, Bekir Pakdemirli, denunciando che Erdoğan e il suo governo non ha un piano per far fronte a questi incendi e, più in generale, all’emergenza climatica, oltre che alla pandemia che falcidia la popolazione, e alla sempre più grave crisi economica.

Dai pochi dati resi noti dal governo e attraverso altri osservatori internazionali, sul fronte Covid sappiamo (ma i dati sono di febbraio, pre Variante Delta) di oltre 2,4 milioni di casi, con la Turchia nono paese al mondo e primo del Mediterraneo allargato per numero di contagi da Covid-19.

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