«Pacta sunt servanda», ma per Boris Brexit i patti valgono solo se gli servono. La polvere della Brexit riemerge da sotto il tappeto
«Pacta sunt servanda», ma per Boris Brexit i patti valgono solo se gli servono

La polvere della Brexit nascosta riemerge da sotto il tappeto. Di fronte a difficoltà su controlli doganali efficaci, Londra chiede di rinegoziare, con buona pace dell’imperativo «Pacta sunt servanda», denuncia Michele Valensise, ex vertice della Farnesina, sull’HuffPost.

Nascondere la polvere sotto il tappeto

«Nascondere la polvere sotto il tappeto sperando che scompaia da sola non è sempre il metodo migliore per risolvere i problemi. Nell’accordo concluso a dicembre del 2020 tra Regno Unito e Unione europea sulla Brexit, Boris Johnson aveva sottoscritto l’impegno a prevedere controlli doganali sulle merci in transito tra l’isola e l’Irlanda del Nord, nonostante quest’ultima sia parte integrante del Regno Unito. Era la condizione necessaria per lasciare aperta la frontiera tra le due Irlanda, come da tutti voluto per preservare lo spirito e l’efficacia degli accordi del Venerdì Santo che avevano posto fine alla guerra civile nel 1998».

Nell’intesa tra Londra e Bruxelles il punto era ovviamente ineludibile. Senza quei controlli intra-Uk, lasciare aperto il confine tra Irlanda del Nord e Repubblica d’Irlanda significherebbe aprire un buco nella rete dell’unione doganale dell’Ue, da cui Londra ha deciso di uscire.

‘Buco’ nelle rete doganale Ue

Da quel varco potrebbero poi entrare illegalmente in Ue, via Regno Unito, anche merci di Paesi terzi legati a Londra da accordi di libero scambio. Insomma, configurare l’Ulster nell’unione doganale attraverso il transito libero delle merci da e per la Repubblica d’Irlanda e, allo stesso tempo, mantenere l’Irlanda del Nord sotto la giurisdizione di Londra assomiglia molto alla quadratura del cerchio.

La quadratura del cerchio

Di fronte a incertezze e difficoltà nell’introdurre controlli doganali efficaci, il Governo britannico ha chiesto di rinegoziare l’intesa con Bruxelles, «smentendo se stesso con buona pace dell’imperativo pacta sunt servanda». La Commissione europea non esclude una certa flessibilità, ma sempre all’interno del vecchio accordo solennemente sottoscritto. Ma Boris, l’Ue lo aveva già amaramente scoperto, non persona di parola (forse nemmeno per bene). «Al momento sembra un discorso tra sordi, lo stallo rischia di avvelenare gli animi e pregiudica gli sforzi di quanti, su entrambi i lati della Manica, si adoperano per porre le migliori basi per la futura relazione Ue-Uk post-divorzio».

Riserva mentale, accordo già col trucco

Si fa strada l’idea che in realtà, sin da subito, i negoziatori britannici agissero con la riserva mentale di chi sa di non poter o voler adempiere all’obbligo. Adesso prospettano l’ipotesi di un regime basato in sostanza sulla ‘fiducia negli operatori’. Loro, i britannici così felicemente accreditati, che assicurerebbero «su base volontaria», che una volta giunte dall’isola in Irlanda del Nord le merci non proseguirebbero verso l’Ue attraverso la frontiera irlandese.

Boris Johnson, cultore di Roma e della sua civiltà, forse si è ispirato al criterio “famo a fidasse”, ma è difficile che convinca la Commissione.

‘Spero, promitto e iuro vogliono l’infinito futuro’

Con la Brexit il Regno Unito ha ripreso, come voleva, il controllo dei suoi confini ma ha anche concordato che uno di essi, il solo terrestre con la Ue, dovrà restare aperto. Intanto a Belfast gli unionisti scalpitano contro ogni misura suscettibile di allentare i vincoli con l’isola, Boris Johnson con non pochi problemi sul tavolo tira dritto e rifiuta di esplorare la via di un (nuovo) compromesso. «C’è un’aria di sufficienza, se non di sfida, che non lascia intravedere grandi margini di manovra e spinge Bruxelles a difendere soprattutto le intese laboriosamente negoziate e sottoscritte», sottolinea Valensise.

Infrazione Ue poca cosa, salvo Biden per l’Irlanda

«Il fatto è che allo stato attuale le armi dei Ventisette, come una procedura d’infrazione, non sono tali da intimorire davvero il governo britannico». E allora? Speranza da oltre Atlantico dopo la fine dell’altrettanto inaffidabile gemello scapigliato di Donald. «Altro peso avrebbe una pressione di Washington su impulso di Joe Biden, sensibile alla causa irlandese e attento a non minare l’equilibrio non scontato che ventitré anni fa lì pose fine a un’assurda carneficina».

Oltre Boris, la credibilità del Regno Unito

E ancora di più potrebbe servire un’analisi oggettiva, a Whitehall, di quanto alla fine gli ultimi sviluppi possano nuocere a un fondamento essenziale dell’identità del Regno Unito: la sua reputazione nel mondo.

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