
Cento volte abbiamo mangiato insieme, a casa sua e di Sergio. Mille volte ha preparato il mio piatto preferito sapendo di donarmi un qualcosa di unico. Quella volta, o per meglio dire quelle volte, nell’estate del Duemila con Giulia bambina, affiorano dalla penombra che sempre cela e crea. Avevo perso il lavoro. La vita stava cambiando. Le certezze si sgretolavano e da lì a poco sarei partito per un viaggio di esperienze sul confine delle mie possibilità. Un viaggio che ancora oggi prosegue; un viaggio di incertezze e bellezza. Lei, donna di sapiente magia, sapeva. E conservo l’abbraccio come un mistero. Come un sentire comune.
Ho sempre amato Emilia, il suo sorriso, la sua capacità di essere nella lotta in ogni tempo che ha attraversato. Emilia Lotti, compagna. Militante ogni giorno della sua esistenza. Donna magnifica che non ha mai smesso di battersi per i diritti civili e sociali, da dirigente dell’Udi, da attivista che ha fatto della sua vita la sua azione politica.
Emilia che nel cognome portava un destino. Lotti, perché devi lottare. Per i diritti e la giustizia, per la memoria, per la cultura e per quell’indicibile che ci rende sacri. Per lasciare come eredità il valore di questa lotta, la meraviglia di una vita così ricca di poesia.
Ho sempre amato Emilia, il suo modo dolce di essere nel conflitto. Sono stato lontano, negli ultimi anni. Sono lontano anche adesso. Ma certi legami vivono senza preoccuparsi dello spazio e del tempo. Nel mio ricordo la sua battagliera vitalità, il suo modo delicato e passionale di esprimere amore e vicinanza. Nel mio ricordo la sua voce, il suo modo di chiamare Sergio che risuona cristallino.
Oggi la piango. Con orgoglio, come un figlio. Con dolore enorme, e quella dolcezza del ricordo che segue le tracce sottili invisibili delle nostre esistenze. Oltre lo spazio e il tempo.