
Piazza Firdos non è un luogo particolarmente importante di Baghdad, la capitale irachena. E la statua di Saddam non aveva niente di speciale, racconta von Tunzelmann. «Era alta 12 metri, pesava circa una tonnellata ed era stata eretta un anno prima, per celebrare i 65 anni di Hussein». L’Iraq era pieno di rappresentazioni ben più significative di Hussein, che fu presidente dell’Iraq dal 1979 al 2003. «Che venivano distrutte quotidianamente» scrive von Tunzelmann. Ma in quella piazza appartata e lontana da rischi di qualche reazione armata, scattò un’idea. L’intento dei militari era quello di dimostrare agli abitanti locali che il loro presidente aveva perso il potere, ma nessuno di questi eventi accadde in presenza di telecamere. I giornali internazionali riportarono quei fatti, ma senza documenti visivi non ci fu nessuna eco mediatica al di fuori del Medio Oriente.
Consapevoli dell’impatto che potevano avere le immagini dei monumenti distrutti, il 7 aprile, quando l’esercito americano conquistò Baghdad e il palazzo della Repubblica, un comandante disse alle truppe di individuare una statua di Hussein da abbattere e poi aspettare l’arrivo dei giornalisti di Fox News per farsi riprendere. Ma allora, il colpo propagandistico non funzionò
L’idea di mobilitare un battaglione dei Marines verso la piazza venne al tenente colonnello Brian McCoy, il quale sapeva che in quella zona c’erano diversi giornalisti e nessun soldato nemico. Vista la statua al centro della piazza, il sergente Leon Lambert, che guidava un carro armato da recupero M-88, pensò di usare il suo mezzo per tirare giù la statua. Un tira e molla di autorizzazioni prima negate e poi concesse. Un piccola folla in piazza cominciò ad attaccare la statua tentando di tirarla giù con un corda fornita da Lambert, ma dopo un’ora ancora non erano riusciti a smuoverla. Alle 18.50 il tirante del carro armato, agganciato alla statua, la fece finire per terra a faccia in giù, provocando il giubilo degli iracheni presenti.
In quelle ore le immagini di piazza Firdos furono mandate in onda a ripetizione sui principali network americani, sottolinea Il Post. CNN e Fox News trasmisero il video centinaia di volte durante tutta la giornata del 9 aprile, descrivendolo come le «immagini storiche di un cappio messo al collo di Saddam dalla gente di Baghdad, immagini che riassumono la guerra stessa».
Nei giorni successivi, la copertura mediatica della guerra in Iraq diminuì sensibilmente. Basta diretta a raffica anche in Italia. Il 1° maggio il presidente statunitense George W. Bush annunciò la fine dell’intervento militare americano, in un discorso tenuto sul ponte della portaerei Abraham Lincoln, al largo della costa di San Diego. «Sullo sfondo c’era un grosso striscione – poi spesso ricordato per il contrasto con gli eventi successivi – con i colori della bandiera americana e la scritta “Missione compiuta”».
Von Tunzelmann, per spiegare il significato e le conseguenze dell’episodio della statua, usa il concetto di iperrealtà, con cui il filosofo francese Jean Baudrillard descrisse la Guerra del golfo del 1991, che secondo lui non fu una vera guerra ma più una simulazione. L’invasione dell’Iraq non fu affatto una simulazione, ma il suo compimento invece sì, secondo von Tunzelmann: «I media trasformarono una performance improvvisata di pochi soldati americani in un finale da serie tv molto convincente in cui il popolo iracheno sconfigge il suo dittatore, ripreso e raccontato dalle tv e dai giornali di tutto il mondo. Ma non era vero».
Saddam Hussein fu catturato alla fine del 2003, processato e impiccato nel 2006. Le truppe americane rimasero in Iraq fino al 2011, e la grave instabilità che riguarda tutt’ora il paese è estesamente ricondotta alle conseguenze dell’invasione.