Fa più notizia un morto a Cuba che cento in Colombia. Problemi e strumentalità. Livio Zanotti storico corrispondente Rai dall'America latina
Fa più notizia un morto a Cuba che cento in Colombia

«Fa più notizia un morto a Cuba che cento in Colombia, commentava all’indomani delle grandi proteste di domenica scorsa il generale Alvarez Casas, ministro degli Interni, con l’intenzione di denunciare il pregiudizio che animerebbe l’informazione internazionale o gran parte di essa contro il regime dell’isola caraibica». Lo scrive Livio Zanotti, storico corrispondente Rai dall’America latina e prezioso collega, sul suo blog IL DIAVOLO NON MUORE MAI

La trappola cubana

‘Fa più notizia un morto a Cuba che cento in Colombia’, denunci il ministro degli interni cubano e tutti ce ne siamo accorti. «Un pregiudizio che animerebbe l’informazione internazionale o gran parte di essa contro il regime dell’isola caraibica». Impossibile dargli torto. Poi le notizie su una riunione straordinaria di governo a cui ha partecipato anche il novantenne e ufficialmente a riposo Raul Castro. Ipotesi dimissioni, sarebbe stato sul punto di dimettersi. «Il presidente Miguel Diaz-Canél ha smentito tutto», ci dice Zanotti che vive in America latina, a Buonos Aires. Economia in crisi e pandemia, ma per Cuba ‘più e sempre peggio’.

«Una congiura mediatica orchestrata da Miami, dove ancora comandano i repubblicani di Trump», il rilancio classico dietro sospetti forse esagerati ma ragionevoli.

Cuba comunista Diavolo americano

«Dalla CIA (Central Intelligence Agency), che a Cuba forse è inoperosa ma non disinformata, lasciano intendere (NYT, 13.07.21) che non è necessario vedere Miguel Diaz-Canèl come un satrapo. Più probabilmente -spiegano dal Dipartimento di Stato-, all’Avana prevale un problema d’inerzia comunista. Non ignorando che per quanto ogni medico cubano sparso per il mondo venga sospettato di essere un agente castrista (ma perfino Bolsonaro in Brasile non ha potuto farne a meno), in realtà sono ex paramilitari ed ex guerriglieri colombiani ad affollare il mercato mercenario dei military contractors da Panama a Haiti».

Dopo la grancassa, Washington frena

«E lo stesso Joe Biden, preso com’è dalla recovery interna e atlantica per meglio fronteggiare la sfida cinese, spera che alla ribollente pentola latino-americana non salti proprio ora il coperchio (Washington ha osservato prudente distanza anche dal tormentoso processo elettorale peruviano, finalmente giunto al riconoscimento della vittoria di Pedro Castillo da parte del Tribunale Elettorale)».

Joe ex vice di Obama su Cuba

«E’ stato lui, del resto, come vice di Barack Obama, a ricucire punto a punto, mano a mano nel 2015 le relazioni diplomatiche con Cuba interrotte da mezzo secolo, aprendo cammino alla ricerca di una normalizzazione. Non immaginando che nel suo irragionevole pasticciare Donald Trump avrebbe poi stracciato tutto, favorendo di fatto l’inanità cubana, il suo statu quo».

Processo negoziale graduale

«Dunque Biden è del tutto convinto della necessità di un processo negoziale e graduale. Ma anche ben consapevole dei suoi rischi politici internazionali e interni agli Stati Uniti (per un’ostilità che è di principio tra i repubblicani, senza lasciare del tutto indenni neanche certe frange democratiche degli stati meridionali). Ha perciò detto quel che non poteva non dire di fronte a questa nuova crisi (incoraggiando il popolo cubano a rivendicare libertà). Per affidare poi la vicenda al funzionario responsabile del Dipartimento di Stato».

Sistema cubano rigido

«Malgrado l’incapacità del sistema di spostare capitoli di bilancio da una voce all’altra per lenire la crisi resa feroce dal Covid (per esempio: destinare ad alimenti spese previste per investimenti militari e infrastrutture di servizio), i dirigenti cubani non sono degli sprovveduti. Sulla questione storica dell’embargo con cui contro le convenzioni internazionali e decine di voti all’assemblea generale dell’ONU gli Stati Uniti tentano da 60 anni di soffocare l’economia dell’isola, non si aspettano miracoli».

Legittima richiesta umanitaria

Chiedono però la sospensione del titolo terzo della legge Helms-Burton sulle sanzioni economiche, affinché possano importare merci farmaceutico-sanitarie anti-Covid19. Al Dipartimento di Stato sanno benissimo che si tratterebbe di una deroga giustificata, anzi suggerita da elementari criteri umanitari. Di fatto, una nuova apertura di credito al dialogo come metodo.

Cosa cambiare a Cuba

«Nel sollecitarla ufficialmente, in nome del diritto internazionale, all’Avana capiscono tuttavia che questa implicherebbe una qualche reciprocità. E la riunione di emergenza del governo in cui è intervenuto Raul Castro deve averne discusso. A rendere necessaria la sua imprevista presenza, sono state ragionevolmente tre preoccupazioni su molte altre:
1, come contenere e disinnescare la protesta senza degenerare nella repressione di massa;
2, cosa concedere agli Stati Uniti per favorirne la disponibilità;
3, e quale via seguire per creare nel Consiglio di stato e ai vertici del potere la maggioranza destinata a sostenerla.

Per il poco che se ne sa

«Per quanto se ne sa (non moltissimo), i massimi capi militari sarebbero più pragmatici dell’alta burocrazia di partito. Poiché mentre i primi ritengono di avere comunque una funzione insostituibile, quest’ultima per garantirsi un’identità ha bisogno di sciogliere alcuni nodi ideologici».

Sessant’anni di sfida agli Usa

Ne corso dei sessant’anni di governo il volontarismo castrista ha perduto i suoi protagonisti storici, Fidel e il “Che”, Camilo, Raul, Frank Pais, Abel Santamaria, «in sintesi le ragioni e lo spirito di un’epoca», sottolinea Zanotti. E hanno perduto peso anche i loro riferimenti teorici. «Il militarismo che ha impregnato di sé la storia di Cuba prima e dopo Castro, non è più “quell’obbligo universale, mezzo e fine dello stato” preconizzato dal filosofo Walter Benjamin».

Tags: Cuba proteste
Condividi:
Altri Articoli
Remocontro