
Ultim’ora – Quattro presunti assassini del presidente di Haiti sono stati uccisi e due sono stati arrestati. Il sospetto coinvolgimento di forze straniere. Secondo l’ambasciatore haitiano negli Stati Uniti, Bocchit Edmond, gli aggressori si sarebbero presentati come agenti della DEA, l’antidroga Usa. «Operazione DEA. Tutti fermi, a terra».
L’aeroporto internazionale di Port-au-Prince è stato chiuso al traffico e gli aerei in avvicinamento sono stati costretti a tornare indietro o a modificare la loro rotta. Il presidente della Repubblica Dominicana (l’altro pezzo nell’isola caraibica di Hispaniola) Luis Abinader, ha ordinato l’immediata chiusura del confine con Haiti ha allertato i suoi comandi militari. Abinader ha deciso di rafforzare la sorveglianza militare e le azioni di sicurezza al confine. Il presidente ucciso il presidente aveva appena nominato un nuovo primo ministro, che ora non riuscirà nemmeno a entrare in funzione. Il timore riguarda possibili reazioni strumentalizzate di parte della popolazione ridotta alla disperazione.
«Da tre anni il governo di Haiti, lo Stato più povero dell’Occidente, è prigioniero di una crisi politica e sociale di cui non si vede la fine. Alle violenze dilaganti, scaturite anche dalla proteste di piazza contro il governo, si somma l’emergenza Covid», denuncia Avvenire. Nel frattempo, il Center for human rights research and analysis, accusa il ministero haitiano della sanità «di aver speso 34 milioni di dollari per il contrasto al virus «in assoluta opacità». Ma la sfida più grande è quella di convincere gli abitanti a recarsi nei centri vaccinali, perché ogni spostamento aumenta il rischio dei sequestri: se ne registra almeno uno al giorno, e quelli “lampo” sono molti di più.
«La violenza indiscriminata sui civili e il terrore di diventarne vittima è la principale pandemia haitiana. I bersagli non sono più i ricchi ma chiunque: spesso si accontentano di pochi dollari di riscatto», afferma Alberto Zerboni, coordinatore delle operazioni ad Haiti di Medici senza frontiere (Msf). Principali responsabili sono le 76 gang attive nel Paese. «Mafie dei poveri, ma ben armate, da qui il sospetto di legami oscuri con la politica». Nate e cresciute nelle sterminate baraccopoli – dove si ammassano i tre quarti della popolazione che sopravvivono con meno di due dollari al giorno –, sono in perenne conflitto per il controllo del racket delle estorsioni. E, ora, anche dei sequestri. Effetto collaterale dello stallo politico.
La vittoria elettorale di Moïse nel 2016 era stata, fin dall’inizio, contestata dall’opposizione. Un mega scandalo di mazzette per oltre due miliardi di dollari in cui sono rimasti coinvolti gli ultimi quattro presidenti, incluso l’ucciso, ha alimentato la protesta. «Il vero lockdown – che qui si chiama peyi lock –, Haiti l’ha vissuto nel 2019 quando le violente dimostrazioni contro il governo hanno fermato il Paese», precisa sempre Avvenire attraverso la preziosa cronaca delle Chiesa locale. «Le elezioni legislative sono saltate e, per oltre un anno, il presidente Moïse ha amministrato per decreto». L’opposizione lo accusava di voler instaurare un regime autoritario, con il referendum del 27 giugno per cambiare la Costituzione, e ne chiedeva le dimissioni. «Ma il presidente godeva del sostegno degli Stati Uniti».
«Dal 2016, nonostante il tracollo del paese, Washington aveva sempre sostenuto il presidente Jovenel Moïse e il suo clan», denunciava François Bonnet su Internazionale. «Perché da mesi, se non anni, dello Stato di diritto si era persa traccia a Haiti», ribadisce Roberto Livi sul Manifesto. «Per responsabilità di Moïse, del suo padrino l’ex presidente Michelle Martelly e del loro partito , il Tét Kale (Phtk). Un partito definito duvalista in riferimento al tristemente famoso François Duvalier, “Papa Doc”, il dittatore che usava le milizie vudù per dominare il paese, tollerato, e nei fatti protetto, dagli Stati uniti». «Con “Baby Doc”, che era succeduto al padre 15 anni fa, le speranze e i tentativi di costruire istituzioni democratiche a Haiti sono state costantemente frustrate da interventi e interessi esterni neocoloniali, sotto la supervisione Usa».
Il risultato è stato la caricatura di un sistema democratico: dal 2004 non vi è stata alcuna elezione che non abbia visto un aperto intervento esterno in uno degli stati più poveri e conflittuali del mondo, negli ultimi mesi anche sotto il flagello della pandemia.
Omicidi di Stato come diffuso sistema di potere, come il massacro di La Saline, 71 persone uccise a colpi di machete, ascia o arma da fuoco. Terrore interno gestito con l’aiuto di bande armate da Jimmy Cherizier, ex funzionario della polizia nazionale e oggi potente capo banda di Port-au-Prince. Oggi è alla guida di G9, un’alleanza tra le nove bande principali della città. Attualmente ad Haiti c’è una nuova industria, quella del rapimento. Le persone vengono prelevate dalle bande che poi chiedono un riscatto o semplicemente le violentano o le uccidono. Il primo giugno è stato rapito anche l’italiano Giovanni Calì, 74 anni, mentre si trovava nel cantiere per la costruzione di una strada. Riscatto pagato e poi liberato.
Da tempo lo scrittore Lyonel Trouillot parla di una “macoutizzazione” del potere, riferendosi ai ‘Tonton-macoutes’, la milizia paramilitare che terrorizzava gli haitiani durante il regime della famiglia Duvalier.
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