Quando era dall’Europa che si scappava. Martinica, la Lampedusa dei Caraibi
Quando era dall’Europa che si scappava. Martinica, la Lampedusa dei Caraibi

Profughi: «persone costrette ad abbandonare la loro terra, il loro paese, la loro patria in seguito a eventi bellici, a persecuzioni politiche o razziali, oppure a cataclismi». Circa 80 anni fa si scappava da dall’Europa in guerra. A inizio ‘900 erano stati i nostri migranti, i popoli in fuga dalla fame.
1940, Francia occupata dai nazisti, popolo in fuga: migliaia erano fuoriusciti antinazisti dalla Germania o dall’Austria, antifascisti dall’Italia o repubblicani dalla Spagna, altri provenivano dalla Polonia o dall’Europa orientale e soprattutto moltissimi erano ebrei.
Spagna franchista, Svizzera stracolma. Da Marsiglia stessa via di fuga di oggi, ma all’incontrario. Non barchini ma navi per raggiungere o la costa africana, le vecchie colonie, o, oltre atlantico , Martinica, nelle Antille, o il Messico per i profughi di lingua spagnola.
La Lampedusa dei Caraibi, e i tanti profughi tedeschi ebrei o comunisti che alla difficile lotta del sopravvivere dovevano affrontare anche quella dei sospetti.

La fine della Francia e il dramma dei profughi

Le armate naziste attaccarono la Francia il 10 maggio 1940; Parigi fu occupata il 14 giugno e il 23 fu siglato un umiliante armistizio imposto dai vincitori. La Francia invasa fu allora divisa in due parti: una soggetta direttamente ai tedeschi a nord ed una seconda amministrata dal governo collaborazionista a sud, ma dove i tedeschi potevano comunque intervenire. Dall’attacco tedesco a maggio centinaia di migliaia di persone si erano riversate sulle strade per raggiungere Parigi o per fuggirne e non tutti erano francesi: migliaia tra essi erano fuoriusciti antinazisti dalla Germania o dall’Austria, antifascisti dall’Italia o repubblicani dalla Spagna, altri provenivano dalla Polonia o dall’Europa orientale e soprattutto moltissimi erano ebrei, ricercati dai nazisti e non sempre aiutati dai francesi. La Spagna ‘neutrale’ nel frattempo aveva chiuso la frontiera mentre la pacifica e laboriosa Svizzera andava dichiarando «Das Boot ist voll» (la barca è piena): per abbandonare la Francia, prima che fossero bloccati anche i passaggi tra le due zone, non restava che raggiungere Marsiglia sperando in un imbarco per il Nord Africa ancora francese o per altra meta oltremare.

Martinica primi anni del ‘900

Martinica, la Lampedusa dei Caraibi

Oltre al Nord Africa francese (Marocco, Algeria e Tunisia) da Marsiglia ci fu anche la possibilità di percorrere una rotta atlantica che fino a quel momento non era stata immaginata dai profughi: la meta era l’isola di Martinica, colonia della corona francese nelle Piccole Antille dalla metà del XVII secolo, da quando cioè vi erano state insediate piantagioni di canna da zucchero. Il viaggio era molto lungo e pochi i posti a disposizione, ma, una volta raggiunta l’isola dopo un viaggio pericoloso in Atlantico, si apriva la possibilità di riparare negli Stati Uniti o in un altro paese del Sudamerica, come ad esempio il Messico dove si erano già rifugiati molti esuli spagnoli dopo la caduta della repubblica. Sebbene all’arrivo la probabilità più alta fosse comunque quella di essere internati – anche con documenti regolari – la rotta caraibica fu molto ambita dai fuggitivi. Il viaggio non era tuttavia una crociera: uno dei profughi lo descrisse eloquentemente come una sorta di surrogato di campo di concentramento in alto mare e probabilmente aveva colto nel segno. La Francia, cercando di trarre risorse delle colonie, riuscì ad organizzare numerosi viaggi che all’andata però erano carichi di profughi.

Victor Serge e Anna Seghers

Lungo la rotta caraibica poterono sfuggire ai nazisti tra i tanti due intellettuali ebrei come Victor Serge e Anna Seghers. Victor Serge, ebreo russo nato a Bruxelles intratteneva importanti legami politici nella III internazionale, militava come sindacalista e aveva combattuto tre le fila delle brigate internazionali in Spagna, ma in precedenza era anche fuggito dall’Unione Sovietica al tempo del terrore staliniano e infatti in Spagna si era schierato tra i trozkisti. Dopo la detenzione a Martinica e a Santo Domingo, giunse infine in Messico dopo l’attentato a Trotzky. Anna Seghers, pseudonimo di Netty Reiling, era già un’affermata scrittrice di lingua tedesca e fede comunista fuggita dalla Germania all’indomani dell’ascesa al potere del nazismo e anche lei ottenne un visto per il Messico. Anna Seghers è considerata ancora oggi una delle voci letterarie più significative nel mondo degli esiliati tedeschi durante il nazismo, ma – al contrario di Serge – fu sempre una comunista ortodossa che invece non ebbe mai dubbi sull’Unione Sovietica. Tornò in Germania nel 1947 e morì a Berlino Est nel 1983.

Intellettuali e antifascisti verso l’esilio

Ambiguità, doppiezze e timori

Il governo collaborazionista di Vichy parlò sempre di ‘espulsioni’ di ebrei dal territorio francese per non attirare troppo l’attenzione dei tedeschi, che però non videro affatto di buon occhio il fatto che numerosi ‘pericolosi ricercati’ potessero lasciare l’Europa. Inoltre, sempre sulla base dell’accordo di armistizio, i francesi si erano impegnati a consegnare ai tedeschi tutti gli ‘stranieri’ pericolosi per il Reich. Il preteso umanitarismo di Vichy sembrò alla fine venato da una robusta dose di cinismo, tanto più che il passaggio marittimo non era concesso facilmente a tutti i richiedenti. Nell’estate del 1941, quando tra inglesi e americani cominciò una sorta di cooperazione, fu infine posto il veto alla navigazione di imbarcazioni francesi nella zona dei Caraibi per due motivi: da una parte si temeva l’infiltrazione di spie tedesche (la maggior parte dei profughi infatti era di origine tedesca, austriaca o dell’Europa orientale) e soprattutto si tentava di impedire che al ritorno le navi portassero rifornimenti in qualche maniera utili alla Germania. La logica insomma del ‘blocco continentale’ ebbe il sopravvento.

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