
«Stanno sparando». «Sì, stanno sparando». Inizia così il video diffuso ieri dalla Ong Sea-Watch. È stato girato mercoledì pomeriggio dall’aereo Sea Bird durante una missione di monitoraggio sul Mediterraneo centrale. Ma l’audio è nulla in confronto a ciò che mostrano le immagini, avverte Giansandro Merli sul Manifesto. Una motovedetta libica, la Bigliani 648 Ras Al Jadar (il doppio nome, italiano e arabo, è traccia del passaggio di consegne), sta dando la caccia a un barchino carico di migranti».
«La Marina militare libica ammette che sono state svolte manovre pericolose e vietate», segnala Nello Scavo su Avvenire. L’indagine interna arriva quando il Parlamento italiano si appresta a votare il rifinanziamento delle missioni in Libia. Non potendo smentire le immagini, l’insolito rigore. Vite messe a rischio, quelle dei migranti, «così come quelle dei membri dell’equipaggio della motovedetta stessa, in quanto non sono state seguite le misure di sicurezza».
«Fino ad ora l’unica inchiesta su un esponente delle autorità accusato di traffico di esseri umani, maltrattamenti e contrabbando di petrolio si era chiusa con la scarcerazione dell’indagato, il comandante Bija, promosso pochi giorni prima del rilascio al grado di maggiore della Marina», ricorda sempre Scavo.
«Abbiamo visto il video e stiamo verificando le circostanze ad esso legate. Sicuramente chiederemo spiegazioni ai nostri partner libici», ha detto Peter Stano, portavoce della Commissione europea, nel corso della conferenza stampa quotidiana.
Dal 2017 il costo a sostegno dell’accordo Italia-Libia per bloccare i flussi migratori è stato di oltre 213 milioni di euro. Soldi usati anche per addestrare ed equipaggiare i guardacoste, «che però in mare agiscono più secondo gli standard dei pirati somali, che secondo quelli delle guardie costiere europee».
I guardacoste libici si sono allontanati per oltre 110 miglia dal porto di Tripoli e sono arrivati a sole 45 miglia da Lampedusa. Non era mai successo che una motovedetta tripolina si spingesse così a Nord per inseguire dei migranti, lasciando però che altri barconi raggiungessero indisturbati a Lampedusa.
Stavolta l’imbarazzo per le conseguenze anche politiche di una tale azione, che mette in oggettiva difficoltà anche il governo italiano, che ha promesso la prosecuzione del sostegno politico ed economico a Tripoli, ha costretto le autorità libiche a intervenire, almeno verbalmente. «Confermiamo la nostra volontà nel proseguire lo svolgimento dei nostri compiti e doveri, salvare vite in mare e proteggere le coste libiche, secondo le leggi e i regolamenti umanitari riconosciuti a livello locale e internazionale».
‘Regolamenti umanitari’ quali? La Libia non ha mai sottoscritto la Convenzione di Ginevra per i Diritti dell’Uomo e, come ha ricordato di nuovo ieri l’Onu, il Paese non è riconosciuto come “luogo sicuro di sbarco” e perciò riportare a terra i migranti, destinati ai campi di prigionia, costituisce una violazione dei Diritti Umani che però in Libia non è perseguibile.