Il melo selvatico e il re-cordare
Il melo selvatico e il re-cordare

Vorrei essere un melo selvatico,
un grande melo selvatico,
vorrei che del mio corpo si saziassero
tutti i bambini affamati,
coperti dalla mia ombra

Vorrei essere un melo selvatico,
che quando sarà secco un giorno
e abbattuto dal padre inverno,
asciughi con la sua fiamma
le lacrime degli orfani.

Quando sento l’amarezza nel cuore, vedo cose che non vorrei, sento persone pensare come unica soluzione l’ottusa feroce obbedienza, prendo le armi del mio essere conflittuale e cerco nel ricordo, riporto vicino al cuore l’emozione e la paura. Re-cordare. La scena verticale del tempo e l’azione. Sono quello che sono, mi dico. Con le mie contraddizioni, i tentativi di compromettere e le rinunce.

E appare la bellezza dentro il ricordo e in questi versi magici di Attila Jozsef (poeta dimenticato…) che ho sempre amato. Risuonano e danno coraggio. Ho scritto anni fa: “Ferma il tempo. Mi ricorda il mio cuore puro di quando ero un bimbo, di quando crescendo tenevo salda la visione di quello che è giusto e complicato e di quello che è comodo fare, di quello che anima il nostro destino di esseri umani e quello che lo travolge in una ricaduta di piccoli interessi di bruttezza efficace. La poesia ha questa forza sovversiva. In dieci versi ti spalanca l’universo di quello che avremmo potuto fare, di quello che saremmo potuti essere”.

Fa star meglio la semplicità della poesia.

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