Jugoslavia, l’inizio della fine. L’origine delle guerre balcaniche e la Chiesa
Jugoslavia, l’inizio della fine. L’origine delle guerre balcaniche e la Chiesa

Su ‘Vatican News’ una interessante ricostruzione su quel problematico e tanto discusso 25 giugno del 1991, quando i parlamenti di Slovenia e Croazia proclamarono l’indipendenza dei loro Paesi e l’uscita unilaterale dalla Federazione jugoslava, contando sul riconoscimento evidentemente preannunciato della superpotenze economica Germania e su quella morale del Vaticano dell’allora papa polacco. Fu il primo passo verso la dissoluzione della Jugoslavia e l’avvio di dieci anni di guerre feroci.

L’esodo della popolazione serba dalla Kajine croate

L’inizio della peggior fine

«Quel giorno di fine giugno di trent’anni fa, l’onda lunga del crollo dei regimi comunisti in tutta Europa inizia a trasformarsi per la Jugoslavia in una sanguinosa guerra civile che si sarebbe chiusa solo a fine 1995», riconosce -storia docet- Alessandro Di Bussolo dalla Città del Vaticano. Ma sul ruolo della Sante Sede in quel passaggio storico, la versione che viene proposta non sempre appare completa o coincidente con la storiografia più accreditata e con testimonianze terze sul campo.

Nulla di quello che accadde fu per caso

La prudenza della comunità Europea che si oppose a qualsiasi riconoscimento di indipendenza prima di accordi su territori e popoli ospiti –la causa immediata del macello-, fu violata con tragiche responsabilità non ancora doverosamente riconosciute. Ad esempio, per la Germania di Koll, l’espansione del marco tedesco su tutto il territorio jugoslavo travolto dalla guerra, a pagare parte almeno dei costi della riunificazione tedesca.
E sulle molto discusse ragioni dei Vaticano al riconoscimento anticipato su pressione forte del clero croato, e su spinta ‘anti repressione comunista’ realmente subita, pur trascurando complicità altrettanto gravi della stessa chiesa col regime nazifascista degli Ustascia. Di questo nulla abbiamo letto su ‘Vatican News’, ma forse era fuori tema.

Dopo Tito cronache dalla Slovenia

«Il socialismo non funziona più da collante ideologico e i rappresentati delle diverse repubbliche non riescono a prendere decisioni comuni. Nel dicembre 1989 viene eletto presidente della Serbia Slobòdan Milošević, da tre anni leader del Partito comunista serbo, e i rapporti con Slovenia e Croazia divengono sempre più tesi», la sintesi su Vatican News.
«Già nel 1988, a Lubiana, si erano svolte manifestazioni di massa contro la presenza dell’esercito federale, al vertice del quale i serbi erano la maggioranza».
«Intanto, nelle diverse repubbliche le prime elezioni multipartitiche in molti casi portano al potere i partiti nazionali»
, forse meglio definibili come nazionalisti.

I referendum del 23 dicembre e 19 maggio

In Croazia la Krajina, regione a maggioranza serba, nel 1991 chiede il diritto alla secessione da Zagabria, prime chiare avvisaglie chiare di contenzioso etnico. Il 19 maggio il 93,24 per cento di oltre 3 milioni di croati, vota sì ad uno Stato sovrano e indipendente che formi “un’associazione di Stati sovrano con le altre ex repubbliche jugoslave”. Dalla Federazione socialista a una ‘eventuale Confederazione di modello occidentale. Il riferimento all’indipendenza, alla separazione netta non è troppo esplicito, come nel referendum del 23 dicembre 1990 in Slovenia.

Prime vittime furono i civili

«L’esercito federale interviene subito in Slovenia, ma la reazione della difesa territoriale e le pressioni internazionali, dopo la cosiddetta ‘guerra dei dieci giorni’, lo costringono a ritirarsi in Croazia dove i combattimenti diventano sempre più violenti». La tragedia Vukovar. Poi a raffica, la frantumazione della federazione jugoslava si completa: «Il 15 settembre anche la Macedonia dichiara l’indipendenza e il 15 ottobre il parlamento della Bosnia-Erzegovina vota una dichiarazione di sovranità, approvata da croati e bosniaci musulmani, mentre i rappresentanti serbi lasciano l’aula. All’inizio del 1992 comincia la guerra in Bosnia, mentre si combatte ancora in Croazia».

Lo storico croato Marko Medved

Cosa successe dopo quei giorni. Marko Medved, 47 anni, che a Rijeka/Fiume insegna Storia della Chiesa, e lavora nella Arcidiocesi istriana. «All’inizio le richieste slovene e anche croate riguardavano una maggiore democratizzazione del Paese e non una piena indipendenza. Ma a Belgrado trovarono solo chiusure e una politica di ancor più forte centralizzazione».

Il comunismo di Milosevic

«Le dichiarazioni di indipendenza di Zagabria e Lubiana erano la conseguenza dei cambiamenti politici, dato che le repubbliche occidentali della Croazia e della Slovenia all’epoca avevano già avuto governi eletti liberamente nelle elezioni democratiche dopo il crollo del comunismo, mentre negli Stati orientali della Jugoslavia il comunismo era rimasto al potere, cavalcando però il nazionalismo, soprattutto serbo, capeggiato da Slobodan Milosevic».

Slovenia guerra lampo, Croazia guerra truce

«Al contrario della Slovenia, dove la guerra con Belgrado durò solo 10 giorni, quella della Croazia fu una guerra molto sanguinosa, almeno fino alla primavera del 1992, quando gli interessi di quello che restava della Federazione jugoslava si concentrarono più sulla Bosnia…». Mesi di guerra tra Zagabria e gli autonomisti serbi, «L’assedio della città croata di Vukovar e anche il bombardamento di Dubrovnik, l’antica Ragusa».

L’anticipato riconoscimento vaticano dimenticato

«Nel gennaio del 1992 l’Unione Europea riconobbe l’indipendenza delle due Repubbliche, quella croata e quella slovena, con una soluzione diplomatica voluta ed appoggiata anche dalla Santa Sede». E qui lo storico croato fa un grosso scontro politico al Vaticano che con la Germania disobbedì alle indicazioni internazionali anticipando il riconoscimento unilaterale della indipendenza,

senza poter imporre, come suggerivano l’Unione e gli stessi Stati Uniti, un accordo preventivo tra Stati separatisti Jugoslavi su territori e tutele delle diverse popolazioni, per poter ottenere il riconoscimento internazionale dell’indipendenza, a tentare di evitare le successive guerre etniche.

La Croazia liberata

«In Croazia si arrivò ad un cessate il fuoco che durò praticamente fino all’estate nel 1995 anche se con qualche problema durante quei 4 anni». Qualcosa in più di ‘qualche problema’. «Nell’agosto del ’95 la Croazia, con una guerra lampo, libera dall’occupazione serba l’entroterra dalmata e i territori occidentali della regione della Slavonia». E anche qui una dimenticanza storica di rilievo, sull’operazione ‘Tempesta’ croata, duecentomila militari impiegati, centinaia di militari e civili serbi uccisi e soprattutto 200mila cittadini serbi di quelle terre (la foto sopra ne mostra una piccola parte), espulsi della loro case con una pulizia etnica di massa. Lo storico alla fine riconosce che «gran parte della comunità serba che viveva in Croazia sarà costretta all’esilio».

Bosnia, primato di nefandezze serbo-croate

«Durante tutti gli anni di conflitto furono commesse atrocità sui civili da ambo le parti, anche se forse le milizie serbo-croate primeggiarono nell’ orrore. E poi in Bosnia oltre alla guerra tra bosgnacchi musulmani e i serbo-bosniaci, ci furono scontri tra croati bosniaci e bosgnacchi, soprattutto a Mostar». Vedi l’abbattimento dello storico ponte di Mostar che univa le due sponde della Neretva da 500 anni.
Autocritica croata quasi assente: «Chi si rifiuta di farlo, e sono in parecchi quelli che hanno difficoltà nel fare quest’autocritica, si nasconde dietro logiche nazionaliste erronee, secondo le quali chi è stato attaccato, chi è sotto occupazione, non può commettere crimini».

Chiesa Croata tra guerra e pace

Lo storico dell’archidiocesi istriana di Rijeka-Fiume, cita alcuni vescovi e ne dimentica altri. Il francescano, Srećko Badurina, diocesi di Sebenico, pacificatore tra concittadini serbi e croati, e non i più schierati e discussi francescani di Medjugorje, ad esempio. La questione del nazionalismo cattolico: «Durante il comunismo la Chiesa Cattolica spesso sentiva come proprio compito quello di tutelare e conservare l’identità nazionale croata. Ma una volta costituito lo Stato croato, in molti sono stati incapaci di capire che da quel momento c’erano altre strutture preposte a tale compito». «Spesso alcuni politici giocano la carta del nazionalismo e con questo nazionalismo coprono illegalità e nefandezze varie: difendono i propri interessi, quelli delle proprie lobby, e non il popolo».

Difficile dopoguerra

Dal primo luglio 2013 Zagabria è nell’Unione Europea, molto in ritardo rispetto a Paesi vicini. «La Croazia dovette impegnarsi molto per processare i criminali di guerra, per rafforzare la propria società civile e le strutture democratiche, per entrare nell’Unione Europea». Ma guardando le statistiche a livello europeo, la Croazia è il fanalino di coda dell’Ue. Problemi economici ma non soltanto. «C’è anche il problema di una sempre maggiore tendenza dei cittadini di sentirsi non rappresentati dal mondo della politica e di una grande astensione dalle consultazioni politiche. Ma questi sono problemi che abbiamo in comune anche con altri Paesi europei».

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