Iran: la rivoluzione che generò la teocrazia degli Ayatollah e la presidenza Reagan-Bush negli Usa

Non sempre le rivoluzioni producono ciò che sognavano tutti quelli che le hanno combattute. Lo Scià Reza Pahlavi e un regime autoritario etero diretto sull’Iran. La rivolta popolare, la fuga di Re cortigiani e il ritorno degli esiliati. L’ayatollah Khomeini che predicava la rivoluzione islamica, e i comunisti profughi del Tudeh che contavano sul marxismo. Una breve illusione di convivenza a cambiare, ma finì male per la parte laica. Chi comanda da allora in Iran lo sappiamo.
Meno noto ciò che di riflesso accadde negli Stati Uniti col sequestro degli americani assediati in ambasciata. A causa dello smacco politico e di una fallita operazioni militare per liberare gli ostaggi, il presidente democratico Jimmy Carter perde le elezioni. Vincono Donald Reagan e il George Bush papà come vice, in attesa del podio presidenziale suo. ‘October surpise’, sospetta trattativa parallela a vantaggio repubblicano, e gli ostaggi americani saranno liberati proprio il giorno del giuramento di Reagan nuovo presidente Usa, e fu trionfo politico. Casuale o no, ne sta litigando da allora la storia e un po’ di giornalismo curioso.

Il vertice di Guadalupe

Il 16 gennaio 1979, mentre i disordini in corso dal settembre dell’anno precedente non si erano ancora trasformati del tutto nella rivoluzione islamica, lo scià di Persia Reza Palahvi abbandonò il paese. Meno di due settimane prima, nel corso di un vertice internazionale svoltosi a Guadalupe, il presidente degli Stati Uniti Jimmy Carter, il primo ministro britannico James Callaghan, il cancelliere tedesco Helmut Schmidt e il francese Valéry Giscard d’Estaing – ospite della conferenza – avevano concordato di cessare ogni appoggio allo scià suggerendogli di lasciare il paese. Fu la decisione che fece collassare il regime: il principale timore diffuso tra i politici occidentali era infatti che l’Iran sarebbe piombato nella guerra civile, ma altrettanto forte era anche il timore di un intervento sovietico, nonché delle difficoltà che sarebbero insorte nell’approvvigionamento di petrolio. Giscard d’Estaing – che pochi mesi prima aveva pensato addirittura di ‘trasferire’ in Algeria lo scomodo Khomeini, all’epoca in esilio in Francia – offrì una propria mediazione per contattare il futuro leader. 

I primi ostaggi americani (liberati)

Il 1° febbraio Khomeini tornò in Persia dall’esilio ed assunse ufficialmente la guida della rivoluzione trovandosi ad affrontare subito le altre forze rivoluzionarie di diversa ispirazione. Il 14 febbraio infatti un movimento non islamico (Fedain del popolo iraniano, organizzazione armata marxista-leninista) attaccò l’ambasciata degli Stati Uniti a Tehran. Un centinaio di ostaggi catturati furono poi liberati per l’intervento delle forze di sicurezza iraniane autorizzato da Khomeini e l’ambasciata restituita agli americani. Nel frattempo lo scià, ospitato temporaneamente dal magnate del petrolio David Rockfeller, si era trasferito a New York anche per l’intervento personale di Henry Kissinger dove fu operato una prima volta il 23 ottobre. Alla fine del mese si manifestarono però le prime richieste di estradizione dello scià in Iran per subire un processo e contemporaneamente, in un appello rivolto agli studenti dell’università di Tehran, Khomeini esortò ad intensificare la lotta contro gli Stati Uniti ed Israele proprio per ottenere l’estradizione dello scià.

444 giorni

Il 4 novembre, alle undici e trenta, si svolse un secondo assalto all’ambasciata americana da parte di un gruppo di studenti questa volta di stretta obbedienza kohmeinista: in questo caso l’ambasciata non fu prontamente sgomberata perché tutta la vicenda si concluse solo il 20 gennaio 1981, cioè 444 giorni dopo. Migliaia di manifestanti circondarono l’ambasciata giorno e notte scandendo slogan; una sessantina tra impiegati e funzionari dell’ambasciata furono tratti in arresto mentre gli altri, legati e con bende sugli occhi, furono ripresi dalla televisione. Gli Stati Uniti, indubbiamente shockati, negarono però nuovamente l’estradizione. Il 9 novembre fu convocata una seduta del consiglio di sicurezza che condannò il gesto e, quando fu l’Iran a chiedere la convocazione di un’altra seduta straordinaria, il segretario generale Kurt Waldheim respinse la richiesta. Le parti poi si invertirono perché alla fine di quel novembre furono invece gli Stati Uniti a denunciare il fatto alla corte internazionale dell’Aja. A dicembre, ufficialmente per motivi di sicurezza, lo scià fu trasferito in una base militare del Texas, ma si mormorò anche malignamente che gli Stati Uniti stessero pensando ad altra soluzione.

Conseguenze di ogni tipo

Nell’aprile 1980 vi fu anche uno sfortunato tentativo americano di liberare gli ostaggi: l’operazione ‘Artiglio dell’aquila’ però fallì, fornendo però indirettamente ai sovietici, che avevano occupato l’Afghanistan alla fine del 1979, una giustificazione postuma del loro discusso operato, ma anche l’opportunità di migliorare le relazioni con l’Iran a scapito degli Usa e di rafforzare la loro posizione strategica in Asia. Una vittima illustre di questa catena di incresciosi imbarazzi americani fu alla fine Jimmy Carter: dopo la presa degli ostaggi, l’occupazione sovietica dell’Afghanistan e il fallito tentativo di liberazione perse le elezioni del novembre 1980. Al suo posto fu eletto Ronald Reagan che impresse un carattere ben diverso alla politica americana. Fu dopo il suo discorso di insediamento del 20 gennaio 1981 che il governo iraniano annunciò la liberazione degli ostaggi accettando le condizioni emerse dalle lunghe negoziazioni che si erano svolte ad Algeri.

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