
La risoluzione su Srebrenica è stata approvata con i voti anche del maggior partito di recente opposizione, il Dps, del presidente Milo Djukanovic (nella foto in bianco e nero accanto a Slobodan Milosevic), cosa questa che ha indotto in tanti a parlare di nuova maggioranza e di crisi di governo, una situazione che non rispecchierebbe più l’esito delle elezioni del 30 agosto che avevano mandato il partito di Milo Djukanovic all’opposizione dopo 30 anni di potere personale incontrastato del discusso leader politico. Alla spalle della tragedia di Srebrenica, tensioni molto meno nobili sulle ricche proprietà della chiesa ortodossa, e sulla adesione montenegrina alla Nato delle bombe su Belgrado e sulla piccola Jugoslavia del 1999.
Sul piede di guerra sono in particolare i rappresentanti delle forze filoserbe, sostenute dalla massiccia componente serba, un terzo circa della sparuta popolazione del Montenegro. Andrija Mandic, leader del Fronte Democratico, formazione filoserba che fa parte della coalizione di governo, ha denunciato il ‘colpo di mano’ in parlamento chiedendo la formazione di un nuovo esecutivo o nuove elezioni, riferisce l’agenzia Ansa. Dal parlamento di Podgorica, ha detto Mandic, è venuto un attacco alla Serbia e al popolo serbo ancora più forte e ostile di quanto fatto dal Tribunale dell’Aja.
Quasi un ritorno al nazionalismo serbo dei tempi dello scomparso Milosevic, morto in carcere all’Aja, che ha lasciato evidentemente molti eredi. A Belgrado un deputato del partito di maggioranza Sns, la forza politica guidata dal presidente Aleksandar Vucic, ha proposto di dichiarare persona non grata in Serbia tutti i deputati e tutti i membri del governo montenegrino, compreso il premier Zdravko Krivokapic, che ieri hanno votato a favore della risoluzione su Srebrenica. La posizione ufficiale di Belgrado è che a Srebrenica vi fu un massacro perpetrato da singoli responsabili, ma non un genocidio, come ritiene la giustizia internazionale.
Di tenore opposto le reazioni della componente croata e musulmana in Bosnia-Erzegovina. Sefik Dzaferovic, membro bosgnacco musulmano della presidenza tripartita bosniaca, ha definito la risoluzione un contributo al ripristino della fiducia e al rafforzamento della pace e della nella regione. Il membro croato della presidenza Zeljko Komsic ha parlato di decisione da Paese civile, auspicando che lo stesso facciano Bosnia-Erzegovina e Serbia. Assolutamente improbabile per la profonda divisione fra le due ‘entità statali’ inventate negli accordi di Dayton 1995 (Republika Srpska e Federazione croato-musulmana) e i tre popoli (bosgnacchi musulmani, serbi ortodossi e croati cattolici) che compongono il Paese balcanico.
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