Iraniani alle urne delusi dai loro leader e dal mondo

Oggi presidenziali decisive per le relazioni dell’Iran e di gran parte del mondo sciita con l’Occidente. Raisi, l’ultra conservatore predestinato, o vince subito o rischia. Voto condizionato da crisi, sanzioni e repressione. Le responsabilità di Usa ed Europa.

Da quando nel 2018 l’allora presidente Usa Donald Trump è uscito dall’accordo sul nucleare di tre anni prima, reimponendo pesanti sanzioni all’Iran, la moneta nazionale, il rial, è crollata rispetto al dollaro e l’inflazione interna ha cominciato a galoppare senza freni. I prezzi dei generi alimentari di base rincarano quasi ogni settimana, e alla gente resta ben poco per il superfluo. A fare precipitare ulteriormente la situazione è stato il Covid, che ha colpito l’Iran più di ogni altro Paese mediorientale, facendo oltre 80.000 morti. I contagi giornalieri si mantengono ancora intorno ai 10.000.

Reazionari contro

Ebrahim Raisi, l’ultraconservatore capo dell’apparato giudiziario, è dato come il favorito da tutti i sondaggi, con circa il 60 per cento delle preferenze. Gli altri candidati dovrebbero spartirsi le briciole. Tra loro, l’ex comandante dei Pasdaran Mohsen Rezai e il governatore della Banca centrale Abdolnasser Hemmati, l’unico moderato rimasto in lizza dopo la falcidia delle candidature operata dal Consiglio dei Guardiani, organo conservatore controllato dalla Guida suprema Ali Khamenei.

Suffragio universale solo del 1963

«In Iran il voto è a suffragio universale dal 1963, quando la cosiddetta Rivoluzione Bianca voluta da Muhammad Reza Shah su pressione statunitense permise alle donne di votare ed essere elette in parlamento», ci ricorda opportunamente Farian Sabahi, giornalista italiana di origini iraniane che sulla questione femminile giustamente insiste.
Con la Rivoluzione del 1979 l’Ayatollah Khomeini tolse molti diritti alle donne, ma non il voto.
Nella repubblica islamica le donne possono tuttora diventare deputate, ma non possono aspirare alle massime cariche dello Stato e quindi al ruolo di presidente, di Guida suprema (posizione non elettiva) e di capo della magistratura.

Il voto e il boicottaggio

Seggi aperti in 72mila tra scuole, moschee ed edifici statali, ma non ci saranno folle di cittadini. Rischio di un un boicottaggio di massa, segnalano in molti: «gli iraniani sono delusi dalla propria leadership per molteplici motivi: la corruzione, l’incapacità di gestire la cosa pubblica, la crisi economica e l’inflazione al 50% a causa delle sanzioni internazionali, la repressione».
Secondo i sondaggi, potrebbe essere battuto il record negativo di partecipazione delle legislative dello scorso anno, a inizio pandemia, quando si presentò alle urne solo il 42% degli aventi diritto.

600 aspiranti presidente e un vincente da paura

Tra i 600 aspiranti presidenti, il Consiglio dei Guardiani ne ha selezionati sette. Alla vigilia del voto, quattro si sono ritirati. In lizza ne restano tre, precisa il manifesto. Il favorito è l’ultraconservatore Ebrahim Raisi, capo della magistratura nonché candidato di riferimento dell’ayatollah Khamenei. «Già direttore della ricchissima fondazione religiosa di Mashhad, ha un passato sanguinario: fu lui a firmare la condanna a morte di migliaia di oppositori politici nel 1988, alla fine della guerra contro l’Iraq, e tante impiccagioni negli anni Novanta».
I suoi comizi hanno radunato migliaia di persone, ammassate senza mascherina nel paese più colpito dal Covid della regione.

Due concorrenti e una piccola speranza

Del suo stesso schieramento è l’ex generale dei pasdaran Mohsen Rezai, colpevole di una serie di errori durante la guerra contro Saddam, errori costati la vita a tanti soldati. È invece considerato un moderato il governatore della Banca centrale Abdolnaser Hemmati.
O la destra al primo turno o rischia.
Se Raisi non vince al primo turno, rischia di perdere: dopo aver invitato all’astensione, i riformatori potrebbero chiamare alle urne il proprio elettorato per scegliere Hemmati. Oltre al presidente, saranno scelti anche i consigli comunali, alcuni deputati per seggi rimasti vacanti e sei membri all’Assemblea degli Esperti che nomina la Guida suprema

Teheran e occidente

Le presidenziali di oggi sono determinanti per le relazioni di Teheran con l’Occidente: «Se un presidente estremista salirà al potere dopo le elezioni presidenziali di giugno, l’accordo nucleare sarà ancora più a rischio», dichiarava lo scorso 6 febbraio il ministro degli Esteri Zarif al quotidiano Hamshari.
«Comunque vada – commenta Borsatti, già corrispondente dell’Ansa da Teheran – il voto di oggi non è una pura questione di politica interna».

Iraniani delusi

Iraniani delusi non solo dalla loro leadership: «Fin dall’inizio l’amministrazione Trump aveva interrotto un percorso di riavvicinamento che avrebbe potuto rispondere ai timori di una proliferazione nucleare. Da parte sua, Biden non ha agito con la velocità necessaria ad evitare la sconfitta definitiva dei moderati». Anche l’Europa, suddita dell’alleanza atlantica, è venuta meno alle promesse a Teheran sul rispetto dell’accordo sul nucleare, e contro le sanzioni Usa.

Crollo economico e regressione politica

«A farne le spese è il popolo iraniano –spiega ancora Borsatti-, impoverito e deprivato di diritti elementari come il lavoro, il benessere, ma anche la possibilità di viaggiare negata dal potere d’acquisto ridotto vertiginosamente dal crollo del rial ancor prima della pandemia».

«Particolarmente colpita quella gioventù istruita e cosmopolita che avrebbero potuto favorire il cambiamento in un contesto di migliorate relazioni economiche, politiche e culturali».

Tags: elezioni Iran
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