
Mappe leggendarie perché raccontano un abitare fantastico, in cui accadono e sono accadute cose magnifiche, e tante ne accadranno perché sono possibili, nel dono dell’incontro che ha messo insieme storie antiche, toponimi, paesaggi, etimologie, esseri umani speciali, sapienti e narratori intorno a un tavolo (è come se fossimo intorno a un tavolo). Nella ricchezza talvolta dimenticata dell’ascolto. Con libertà e coraggio, affidandosi alla meraviglia di quell’intelligenza spirituale che – come sottolineato dal professore José Antonio Múñiz – anima la creatività.
Le Mappe leggendarie sfidano la musealizzazione del passato e ci restituiscono la gioia dell’essere donne e uomini contemporanei, che attraverso questa operazione sui luoghi dell’abitare e sulle sedimentazioni storiche e poetiche di questo abitare, prendono posizione rispetto al presente.
“Appartiene veramente al suo tempo chi non coincide con esso né si adegua alle sue pretese. In questo scarto, in questo anacronismo egli è capace più degli altri di percepire ed afferrare il suo tempo”, scrive Giorgio Agamben.
Chi coincide esattamente con le retoriche dell’epoca non riesce a vedere oltre. Parafrasando Pasolini, potremmo dire che è sempre necessario spiazzare la realtà per meglio osservarla. Uno sguardo-attraverso visionario che implica libertà di pensiero e coraggio, per non essere indifferenti alla bellezza e assuefatti alla crudeltà.
L’operazione è semplice, e come tutte le cose semplici necessita di cura e lavoro. E di quella dose di utopia concreta che infonda il coraggio di non temere il proprio tempo, ridisegnando spazi, narrando ciò che c’è e che non c’è, inventando ciò che è finto, non falso, nel flusso magico della mentalità che anima questi territori, che non nega la spiritualità e l’eresia, non dimentica i culti pagani e mantiene i sogni e la tradizione orale che si rigenera e anima l’immaginario della comunità. Cioè quella forma culturale così sapiente e popolare che serve a rendere differente il patrimonio umano di questa comunità.
C’è in questa idea progettuale qualcosa che somiglia al vagheggiare della notte, al buio che inghiotte la realtà e ce la restituisce sognante, illuminata dal potere astrale, dal desiderio. Desiderio, una parola stupenda: il de che toglie e poi sidera, le stelle. La mancanza delle stelle, come spinta per una ricerca universale. L’assenza come possibilità elevata alla massima potenza.
Questa azione rappresenta un agire contemporaneo particolare: tenendo fisso lo sguardo nel tempo (in quello storico, nelle radici, in quello dell’abitare qui e ora) per coglierne non le luci accecanti e chiare, ma il buio. Per poter meglio mettere in questione le epoche, i sogni, desiderando qualcosa che, con curiosità e disciplina, agisce come spinta creativa. Per leggere in modo inedito la storia, secondo una necessità non arbitraria, ma civile, poetica, notturna, per ridestare il canto dell’anima.
La redazione aperta tesse queste modalità di incontro, agisce sui diversi piani della mappa. Ci rende orgogliosi perché dimostra quanto siano belli, forti, sottovalutati, dolci e anche coraggiosi i nostri ragazzi e le nostre ragazze. Nonostante la cattiva stampa, nonostante quella sottile perfida linea di conflitto generazionale che fa ricadere tutte le colpe su di loro: dalla diffusione del virus, all’ignoranza, al cinismo. Mai considerando le conseguenze delle scellerate scelte dei padri.
Aprire la redazione, fare un corso universitario del genere (va ringraziato il professor Maurizio Masini, l’uomo che unisce i puntini) ragionare insieme, vuol dire almeno annullare questo conflitto insensato, dando ai più giovani la possibilità di essere creativi a modo loro, di poter non solo adeguarsi, ma tracciare le proprie strade. Liberi di fare del pensiero un’azione.