
«E in via Wahde, nel centro di Gaza city, si resta senza parole, schiacciati dal peso di un enorme ‘perché’, di fronte alle rovine delle tre palazzine, alte tre piani, centrate da un numero impressionante di bombe e missili sei giorni dopo l’inizio dell’operazione militare «Guardiano delle mura» del governo israeliano dopo il primo lancio di razzi da parte di Hamas. I soccorsi sono andati avanti per tre giorni, alla fine sono stati recuperati 47 corpi senza vita. 22 delle vittime, tra cui diversi bambini, hanno lo stesso cognome. Una famiglia decimata».
«Sulle macerie sventolano le bandiere del partito Fatah, rivale di Hamas. “Queste case fanno parte di un rione residenziale, abitato da professionisti, medici, avvocati, docenti”, ci spiegano. E le bandiere di Fatah sulle macerie spiegano che quei morti non erano di Hamas. Cosa avevano fatto di male quelle donne, quei bambini? Gli israeliani dicono di aver colpito qui a Gaza solo basi militari e di intelligenze ma i morti sono quasi tutti civili».
«Hanno ucciso anche il dottor Ayman Abu Alouf, dell’ospedale Shifa, che nella vita ha pensato solo a curare persone ammalate, anche quelle con il Covid».
«Nella stessa strada oltre alle tre palazzine, sono stati colpiti a circa 70 metri il ministero della Sanità, il laboratorio principale che processava i tamponi per il coronavirus e, proprio di fronte, la sede di una ong palestinese-statunitense che da trent’anni offre servizi medici ad alta specializzazione per bambini gravemente ammalati (circa 6mila in totale). Una ong che ha ricevuto riconoscimenti internazionali e che a Gaza, prima del Covid-19, ha ospitato numerose missioni di medici volontari italiani».
«Aver colpito il nostro edificio è fuori di ogni logica, denuncia Suheir Flaifl, manager dell’ong. “Le autorità israeliane sanno la nostra posizione, siamo conosciuti per la nostra attività in campo sanitario e le altre ong presenti nel palazzo non sono legate ad organizzazioni politiche. Eppure siamo stati presi di mira, senza alcun motivo».
«La stessa domanda che ancora si pongono i giornalisti di al Jazeera e della agenzia statunitense Ap e le decine di famiglie della Torre Al Jalaa abbattuta dall’aviazione israeliana. Le autorità di Tel Aviv hanno denunciato la presenza di forze di Hamas nell’edificio. Sino ad oggi però hanno o avrebbero presentato le prove delle loro affermazioni solo agli Usa, non ai civili che vivevano in quel palazzo di dieci piani polverizzato in un attimo».
Il segretario di Stato Usa Antony Blinken nella regione a tregua precaria. Prima il premier israeliano, poi anche il presidente palestinese Abu Mazen a Ramallah, e nei prossimi giorni re Hussein di Giordania e il presidente egiziano El Sisi. La sintesi della missione fatta dal presidente Biden, «Il nostro saldo impegno per la sicurezza di Israele e gli sforzi per ricostruire e sostenere i legami con il popolo e i leader palestinesi».
Generica espressione di intenti, sapendo di dover coinvolgere altri partner chiave –vedi l’innominato Hamas- per garantire che l’assistenza immediata raggiunga Gaza e sulla riduzione del rischio di un ulteriore conflitto nei prossimi mesi.
Non è ancora chiaro quanto l’Amministrazione Usa si sia convinta a rivedere le sue priorità ereditate da Trump, dopo aver sostenuto per tutta la prima parte dell’anno di voler concentrare la sua azione in Medio oriente quasi esclusivamente sulla ripresa del dialogo con Tehran e il rilancio dell’accordo Jcpoa, il programma nucleare iraniano. Alcuni si domandano se la Casa Bianca intenda elaborare un suo «piano di pace in sostituzione del presunto ‘Accordo del secolo’ seccamente respinta dai palestinesi perché favorevole quasi esclusivamente alle posizioni israeliane.
Biden ha blandamente dichiarato che la risposta all’ultima crisi sia la soluzione a dei Due Stati, ma nopn sembra disposto a rovesciare totalmente la politica del suo predecessore. «Blinken con Netanyahu avrà il compito di rassicurare che i fondamentali della politica Usa verso lo Stato ebraico non sono cambiati –La sintesi di Michele Giorgio- Poi verranno le altre questioni».
«La visita di Blinken a Ramallah appare come un tentativo di ridare sostegno al presidente dell’Anp Abu Mazen che sta vivendo una fase complessa, segnata dal crollo del suo prestigio personale tra i palestinesi».
«Non se la passa tanto meglio Netanyahu. Dopo aver fatto proclami di grandi risultati a Gaza contro Hamas, il premier israeliano fa ora i conti con lo scetticismo della sua opinione pubblica nei confronti degli esiti dell’ultima offensiva militare».